Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 18/19 - lug./ago. 1991

economica e monetaria, la politica estera, l'attuale «comunità» con competenze allargate, e fra tutte queste realtà si rischia di non avere «passerelle» accettabili e veramente percorribili. Quale la conseguenza? Sicuramente una riduzione dei poteri democratici e parlamentari, un accumularsi di competenze negli «esecutivi» di governo, una spinta verso la burocratizzazione della comunità, una forte riduzione degli elementi effettivi di «unione politica». Si pensi solo al problema delle attuali competenze comunitarie in via, sicuramente, di forte espansione. Queste competenze vengono evidentemente sottratte agli Stati nazionali, ma se non si affermerà un effettivo potere di «codecisione» del Parlamento europeo esse migreranno verso gli «esecutivi», con una sostanziale riduzione del potere decisionale dei Parlamenti. Prendiamo ancora un altro esempio importante: se la politica estera rimarrà esclusivo dominio del Consiglio Europeo, anche qui avremo una sostanziale riduzione dei controlli parlamentari, un accentramento delle decisioni fondamentali nei vertici, un potere ibrido ed ambiguo non destinato a creare nessun .L)!I, Bl.\~CO l.X11.nosso •h•#Oiii entusiasmo verso una nuova democrazia europea. 2. Non voglio delineare la situazione con tratti di assoluto pessimismo. C'è un altro elemento da mettere fra levalutazioni: dopo le Conferenze intergovernative, la Comunità vedrà sicuramente ampliate le proprie competenze e l'Unione economica e monetaria costituirà certamente non solo un campo «macroeconomico» in grado di presentarsi efficacemente su la scena mondiale, ma anche un elemento di società civile europea nella quale circoleranno oltre che beni e servizi anche persone, lavoro, professioni, ecc. L'Europa degli anni '90 in nessun caso sarà uguale a quella degli anni '80. Il fatto, la dimensione «Europa» è destinata sicuramente a crescere, a coinvolgere nuovi aspetti, a regolare nuove situazioni. Sarà presente, nel Trattato, quella nozione di «cittadinanza europea» che costituisce già una rottura degli schemi nazionali nel1'ambito di una affermazione di diritti e facoltà e di concrete possibilità di vita che riguarderanno campi di applicazione di grande interesse. Tutto questo non è in dubbio. Ma seriamente in dubbio è la forma complessiva di tutto questo processo, la possibilità seria che si parli di «unione politica» in un quadro che appare finora dominato spesso da chiuse prospettive «nazionali». Qualche volta si ha l'impressione che tutto questo lavoro si svolga senza la consapevolezza storico-politica di un problema che preme in tutta la sua vastità: quello del ruolo mondiale della dimensione «Europa» in uno scenario che è radicalmente mutato dopo il 1989 e che comprende sia la fine del bipolarismo sia l'irrompere di una questione dell'Est in forme non immaginabili fino a qualche anno fa soltanto. È come se l'azione dei governi non fosse veramente toccata dalla coscienza di queste novità e dal nuovo livello dei problemi che esse pongono. Ciò è un po' scoraggiante, come se l'Europa non riuscisse a mettersi al passo con le accelerazioni della storia cui stiamo assistendo. Nel bilancio complessivo che dovremo fare, a conclusione della Conferenza sull'Unione politica, ci sarà pure questo elemento e in fine esso peserà non poco per una valutazione sul lungo periodo che riguarda una domanda perfino traumatica: l'Europa è ancora all'altezza di un possibile compito storico-mondiale? Europa:la cultura alla provadel pluralismo Q uando si dice che la cultura non ha trovato spazio nei Trattati, e particolarmente nel Trattato istitutivo della Comunità economica, si fa al tempo stesso un'affermazione esatta, generica ed equivocabile. Equivocabile perché sarebbe abbastanza improprio sostenere che non esistono azioni della Comunità tese a produrre cultura, a favorire circolazione di idee e convergenti programmi di ricerca. di Roberto Barzanti Non solo a seguito dell'ampliamento di competenze dovuto alla gracile riforma dell'Atto Unico si può verificare che la presenza diretta o indiretta nelle Università e nelle sedi scientifiche si è fatta più concreta e percepibile. La Comunità - più spesso, come si usa dire per un malvezzo non casuale di semplificazione istituzionale, la Commissione esecutiva - è sempre più parte in causa allorché sono all'ordine del giorno temi che investono la cooperazione : J2 tra Atenei o una collaborazione possibile tra imprese e studiosi nella ricerca precompetitiva. La spesa comune per la ricerca su scala europea resta ridicola rispetto alla quota investita da ciascun Stato: rimane il fatto che il settore ha una sua ossatura, politicamente rilevante. E si deve subito aggiungere che si fa ogni giorno più arduo tracciare un confine netto tra quanto si presenta come cultura, s'intreccia con il confronto delle idee e la dimensione

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