Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 18/19 - lug./ago. 1991

i.).t.l. BIANCO lXII.HOSSO iii•lil•P Referendum.Uno, due, troppi significati di Gian Primo Cella O ra che il referendum sulle preferenze elettorali è concluso, il quorum raggiunto, il sì vittorioso, è molto difficile individuare il senso, il significato che restano per il sistema politico italiano. Ognuno ha il suo significato da trarre, con minore o maggiore plausibilità. Le gioie sono di tanti (persino dei partiti), i dolori di pochi. Quando i significati sono molteplici può quasi apparire che non ne esista nessuno veramente sicuro. Solo una fonte, il quotidiano «La Repubblica», ed il suo direttore, non sembra avere dubbi e titola a tutta pagina, con grande rispetto democratico per le minoranza, «Vince l'Italia pulita». Ma, si sa, questo quotidiano ed il suo direttore hanno da sempre qualche chiave in più degli altri per capire i veri significati della politica. E anche sui referendum capiscono sempre più degli altri, lo sappiamo bene fin dai tempi di quello sulla scala mobile (allora finito meno bene per i desideri del grande divinatore della politica italiana). Nessuno comunque sembra dare grande peso al significato diretto del referendum: il passaggio di preferenze plurime ad una sola. Fra i significati che hanno ottenuto più gradimento nei commenti si colloca innanzitutto quello «anti-partitocratico» come si suole ormai dire comunemente, spesso senza pudore o ironia. Fra quelli di carattere generale che può rivestire il voto del 9 giugno, sembra fra i più plausibili. Ma lo si desume da un'atmosfera vagante, più che indurlo da indicatori concreti. La maggior parte dei partiti infatti non si era opposta esplicitamente al referendum, ed i partiti stessi (magari per opportunismo) sono stati pronti a brindare per l'esito. D'altra parte, si diceva con l'obiezione più diffusa alla proposta referendaria, la riduzione delle preferenze potrebbe avere l'effetto di privilegiare i candidati più appoggiati dalle macchine dei partiti. Difficile perciò essere sicuri dell'effetto «anti» del referendum stesso. Arduo indurre tale significato dalla distribuzione territoriale del voto. Si collocano infatti in testa nella partecipazione al voto le due regioni italiane a più solida (mono )cultura politico-partitica: il Veneto e l'EmiliaRomagna. Forse può fare pensare il mancato rispetto dell'appello astensionista della Lega Lombarda: Brescia e Bergamo che avevano registrato nelle ultime elezioni amministrative una percentuale di voto alla lega quasi doppia rispetto a Milano, hanno superato sensibilmente il tasso di partecipazione del capoluogo lombardo. Ma, come si vede, l'argomentazione comincia a indebolirsi, può divenire forse troppo soggettiva, arbitraria, anche strumentale. È solo con queste precauzioni che possiamo in parte accettare l'accentuazione del significato «anti-partitocratico» del referendum avanzata da non pochi commentatori. Un significato forse segnato anche da un desiderio di reazione contro le degenerazioni clientelari così tipiche nel Mezzogiorno. Ma i forse si sprecano. Occorre anche dire che non era impossibile, per chi ha degli efficaci sensori della domanda politica, prevedere la diffusione di un significato di questo tipo. Da questo punto di vista è stato troppo azzardato in alcuni, pochi, settori del sistema politico, ed in primo luogo nel Psi, manifestare una così netta avversione al referendum. Azzardato specie per chi sostiene la strada della democrazia diretta come percorso irrinunciabile per la realizzazione delle riforme istituzionali. Debbo ammettere tuttavia che provo un certo imbarazzo a ragionare in termini così vaghi sui significati di un voto referendario. Su questi aspetti un insegnamento utile è possibile comunque trarlo. Il voto del 9 giugno ha mostrato, al di là degli aspetti costituzionali su cui

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