deliberazione e i poteri delleistituzioni comunitarie, si segnalano varie innovazioni, quali: la procedura di codecisione; la regola del voto a maggioranza qualificata per le deliberazioni del Consiglio, salvo particolari eccezioni; il ruolo del Consiglio europeo. L'introduzione della procedura di codecisione, chiesta dal Parlamento europeo, significa divisione tra Parlamento e Consiglio del potere di approvazione della legge, assicurando al Parlamento una sorta di diritto di veto, appena mitigato da una procedura di conciliazione. Resta da vedere su quali materie potrebbe davvero applicarsi tale procedura. A prima vista non sembrerebbero escluse solo le decisioni di politica estera. La presidenza lussemburghese opterebbe anche per le politiche sociali e dell'ambiente. Per converso, la regola della deliberazione all'unanimità nel Consiglio diventerebbe l'eccezione, valida solo per le questioni più «delicate», come la politica di sicurezza, i cittadini extracomunitari e alcune materie sociali comprese nel settore della sicurezza sociale e dell'accesso all'impiego. Al Consiglio europeo (vale a dire le riunioni dei capi di stato e di governo dei paesi membri) verrebbe, infine, assegnato un ruolo chiave (nella determinazione delle competenze della Comunità) in materia di politica estera e di difesa. Sulla base di queste proposte, sembrerebbe resistere una supremazia del polo intergovernativo rispetto ai poli Commissione-Parlamento (quindi degli esecutivi nazionali rispetto al legislativo comunitario). In altre parole, saremmo ancora lontanucci da un modello federale «classico» basato su un sistema bicamerale. Restano ancora sei mesi, comunque, per porre basi più solide in questa direzione. Ma, anzitutto, per definire quali saranno le materie oggetto della procedura di codecisione e per attribuire finalmente al Parlamento europeo il potere di iniziativa. Sicuramente più controverso appare il capitolo delle competenze comunitarie. Nel trattato verrebbe anzitutto precisato il principio di sussidiarietà e, in secondo luogo, troverebbe migliore definizione il concetto della «prise en considération» (peraltro già formulato in alcuni passi del!'Aue) di una politica da parte e nell'ambito di altre politi- ,{)!I, Bl.\'°CO l.XltBOSSO •U•#OIA che. Per citare qualche esempio concreto, si pensi al rapporto tra politiche dei trasporti e politiche dell'ambiente ovvero a come legare gli obiettivi della politica regionale con le politiche dell'ambiente e del fisco. La «prise en considération», secondo la Commissione, dovrebbe adottarsi in particolare nelle politiche dell'ambiente e nella «coesione ec9nomica e sociale». L'estensione delle competenze appare particolarmente ampia nel settore della politica estera, che comprenderebbe anche la politica economica estera e la cooperazione allo sviluppo (per Giovane danese la quale la Comunità aveva peraltro già alcune competenze). Assai ampia risulta l'estensione per quanto riguarda l'Unione economica e monetaria. Ci sono anche capitoli nuovi, come la cittadinanza, l'energia, la tutela dei consumatori, la scuola, che sono diretti a dare una base giuridica specifica a politiche già avviate oppure ad aprire nuovi «cantieri», insistendo sul carattere di complementarietà dell'azione della Comunità rispetto a quella degli Stati membri. Per quanto riguarda, invece, la politica sociale, i progressi registrati non sono esaltanti. Diciamo anzi che i passi : 2X in direzione dell'Europa sociale non sono sufficientemente lunghi da colmare il ritardo del «sociale» rispetto all'«economico». Ritardo peraltro aggravato (come dicono a Napoii) dalla totale impasse politico-giuridica in cui versa il blocco di direttive contenute nel Programma d'azione che «accompagna» la Carta sociale. Ad ogni modo, la Commissione ha tentato di far valere il principio di sussidiarietà, da un lato, e la regola della codecisione e della maggioranza, dall'altro. L'aspetto più innovativo parrebbe quello della sussidiarietà, nella parte in cui valorizza il ruolo degli attori sociali nella produzione di norme, indicando con ciò una preferenza per la regolazione contrattuale delle condizioni di lavoro (dialogo sociale e contrattazione collettiva) piuttosto che per la disciplina legislativa. In mancanza di accordi e di intese tra le parti sociali, la Commissione dovrebbe assumere l'iniziativa proponendo «norme minime applicabili in ogni Stato membro e deliberate secondo la procedura di codecisione». Non si fa più riferimento al concetto di «armonizzazione nel progresso», mentre le priorità risultano più chiare, pur nella loro astratta enunciazione: «diritti fondamentali» dei lavoratori, formazione e livelli di qualifica, informazione, partecipazione e consultazione dei lavoratori. La Commissione sembra comunque lasciare qualche spazio aperto a modifiche o a interpretazioni di vario tipo, nella parte in cui propone l'introduzione di un nuovo settore di competenza e di intervento: il funzionamento del mercato del lavoro nella parte in cui lo consentano la convergenza delle economie nazionali e il ravvicinamento nel progresso (questa volta, si) delle relazioni e prassi sociali negli Stati membri. È un'ipotesi di lavoro che qualcuno ha definito «surrealista» (ma la Commissione non ha forse sede sulla patria di Magritte e di Delvaux?) considerate le possibili convergenze delle economie nazionali e le concrete esperienze e tendenze dei mercati del lavoro locali e nazionali, anche in vista delmilionario (in termini di uomini, non di Ecu) trasferimento di cittadini exsocialisti nel territorio della Comunità. Ma tant'è. E tanto, forse, resterà finché non avremo organizzato un grande sindacato europeo.
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