ic).tJ, Hl.\~CO \Xll,HOSSO •h•#hlA Piano piano verso l'unione europea L e trattative in corso per la riforma dei trattati della Comunità europea rappresentano una tappa importante verso il traguardo dell'Unione europea. L'agenda degli impegni e delle scadenze è assai fitta. La conclusione delle trattative è prevista per la fine dell'anno. La ratifica da parte dei dodici parlamenti nazionali dovrebbe avvenire entro il 1992. L'entrata in vigore dei trattati riformati dovrebbe coincidere con quella prevista dall' Aue (Atto unico europeo) per il completamento del mercato interno (e, cioè, il 1 ° gennaio 1993: data ormai divenuta, almeno in Italia, totem e tabù). Prima di avventurarci nella disamina di alcuni aspetti della riforma dei trattati, è opportuno fare un paio di flash-back sul tema. Com'è noto, la prima importante riforma dei trattati risale a qualche anno fa. Con l'Atto unico europeo (Aue), entrato in vigore nel luglio del 1987, l'obiettivo della realizzazione del Mercato interno entro il 31 dicembre 1992 appare realizzabile grazie anche a nuove procedure di deliberazione del Consiglio e di produzione normativa comunitaria (basata essenzialmente su un minimo di norme comuni e sul reciproco riconoscimento delle legislazioni nazionali). Oltre a queste innovazioni, e in funzione complementare ad esse, venivano attribuite nuove competenze alla Comunità, segnatamente in materia di politica regionale, di ambiente, di ricerca e sviluppo. È quasi superfluo ricordare (specie al lettore de «Il Bianco & li Rosso») quanto siano stati determinanti, per la vita e il futuro della Comunità, gli anni successivi ali' entrata in vigore dell' Aue. Ma non solo per gli avvenimenti storici della caduta dei muri e dei blocchi. La fine degli anni ---- - - - - -- di Gianni Arrigo Ottanta è stata, infatti, caratterizzata da un'accelerazione delle ristrutturazioni (alimentata anche dalle misure adottate per il completamento del mercato interno) e da un dinamismo accresciuto (quasi da una «forza centrifuga») della Cee per le economie dei paesi confinanti. La «caduta degli dei» comunisti ha, oltretutto, posto la questione di una futura confederazione di stati europei su scala continentale. Il dibattito attuale sulla riforma dei trattati va dunque considerato in questa (forse troppo) complessa dimensione. Il lavoro svolto finora dalla presidenza lussemburghese, con il contributo della Commissione, dei governi e del Parlamento europeo, non ha suscitato forti entusiasmi. Il «gruppo» federalista, in particolare, rileva che il modello di nuova comunità, quale emerge dalle proposte di riforma dei trattati, si basa essenzialmente sul primato della cooperazione intergovernativa e lascia praticamente irrisolta la questione del deficit democratico della Comunità. La riforma, inoltre, confermerebbe l'esistenza di tre Comunità distinte e separate, ciascuna con proprie competenze e procedure: una comunità economica, per la realizzazione del grande mercato; una unione economica e monetaria; una cooperazione intergovernativa rafforzata nelle materie della politica estera e della sicurezza. Le critiche dei federalisti possono condividersi o no, nel merito. Vedremo, poi, nell'esame delle parti essenziali della riforma, se il deficit democratico della Comunità resta davvero la questione irrisolta della Cee oppure se le proposte di riforma dei trattati pongono le premesse per un miglioramento delle istituzioni della democrazia nell'Europa dei Dodici. 27 Per quanto è possibile dire nei limiti di spazio qui consentiti, si può solo aggiungere un dato ovvio. Il manufatto della presidenza lussemburghese non fa che riflettere le posizioni maggioritarie attuali nel Parlamento europeo. Non è il caso di attendersi miracoli da un «blocco di maggioranza» moderata. Specie se le forze sociali - o rappresentative del sociale - non sono adeguatamente organizzate e rappresentate nelle istituzioni comunitarie e fuori di esse, vale a dire come sindacato europeo (o gruppi di pressione). Vediamo ora il contenuto essenziale delle proposte di riforma dei trattati. La Commissione ha proposto anzitutto una nuova gerarchia delle fonti giuridiche comunitarie, articolata in quattro livelli: trattati, leggi, regolamenti e decreti di attuazione (o di esecuzione). La nuova gerarchia e le nuove categorie (leggi e decreti di attuazione), pur non essendo rivoluzionarie, consentono tuttavia di ridefinire meglio i poteri delle istituzioni comunitarie, riservando la funzione legislativa al Consiglio e al Parlamento europeo e lasciando alla Commissione la competenza esclusiva in materia di regolamenti e decreti di attuazione. La riforma dovrebbe consentire di togliere alle direttive e ai regolamenti quell'eccesso di tecnicismo che finora le ha caratterizzate e che ha ostacolato i lavori del Parlamento e del Consiglio. Secondo la proposta della Commissione, la «legge comunitaria» (che prenderebbe il posto delle attuali direttive) sarebbe «obbligatoria in tutti i suoi elementi ... e determinerebbe i principi fondamentali, gli orientamenti generali e gli elementi essenziali delle misure da assumere per la sua applicazione». Per quanto riguarda le procedure di
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