Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 18/19 - lug./ago. 1991

• .{)-lJ. BIANCO l.XII.HOSSO lii•iilid Colonna "sacra" di Sedilo (Sardegna) che una libertà che rifiuti di vincolarsi alla verità scadrebbe in arbitrio e finirebbe col sottomettere sé stessa alle passioni più vili e con l'autodistruggersi». Oppure la citazione nel capitolo sesto, di un Pontefice, Paolo VI, spesso in qualche area di sinistra superficialmente contrapposto all'attuale: «per conoscere l'uomo, l'uomo vero, l'uomo integrale, bisogna conoscere Dio». Non tutti così leggono la storia dell'uomo. Tutti dovremmo tuttavia avere più di una ragione per riflettere sul fatto che alla vigilia del terzo millennio la religione è sempre di più non l'oppio, ma il lievito dei popoli. Si tratta ovviamente di «letture» non obbligate, ma guai a relegarle in qualche cantuccio della coscienza. Alla coscienza dell'intera umanità, compresa quella cristiana, il capitolo secondo richiama a quali tragedie può portare la scissione tra libertà e verità dell'uomo, compresa la pianificazione dello sterminio di interi popoli e gruppi sociali, come il popolo ebreo, il cui terribile destino è diventato simbolo del1'aberrazione cui può giungere l'uomo e a cui può tornare a giungere, poiché una delle piccole-grandi verità dell'uomo è che ciò che è accaduto può tornare ad accadere. Nei giorni della morte di Walter Reder, carnefice di Marzabotto, ciò riporta alla memoria l'analoga considerazione di Giuseppe Dossetti nell'introduzione a «Le querce di Montesole», laddove il nazismo è interpretato come negazione radicale dell'umanità di chi è diverso, dell'esservi un uomo in ogni individuo umano, del non riconoscere metafisicamente la persona. È in questo scuotere l'edificio dalle fondamenta che l'Enciclica rivela tutta la propria modernità perché sa che qui stanno i veri interrogativi dell'uomo del terzo millennio, di ogni uomo, del suo destino, del senso ultimo della sua esistenza. L'Enciclica così facendo bussa ad ogni coscienza per evocare innanzitutto la dignità, la responsabilità, l'unicità di ogni persona di fronte alla frenesia dei tempi moderni, alle ingiustizie piccole e grandi a cui rischiamo di assistere impotenti e indifferenti. L'altezza del confronto a cui Karol Wojtyla chiama con sempre maggiore insistenza l'umanità (non ultimo, per quanto ci riguarda più da vicino, il recente messaggio ai Vescovi dell'Emilia Romagna) rivela una consistenza a cui solo gli ignavi possono sottrarsi, cattolici o meno che siano. L'invito perentorio, ma nel segno dell'amicizia verso l'uomo, a non annegare nella mediocrità del conformismo, a non assolutizzare i mezzi fino a confonderli con i fini, a non idolatrare i nuovi vitelli d'oro dell'era consumistica, tutto ciò può costituire un saldo ancoraggio per far discendere implicazioni non effimere nelle più importanti dimensioni dell'avventura umana: - per la difesa del diritto alla vita di ogni vita umana, per l'accoglienza di ogni vita umana, principio da nessuno avversato a parole ma a volte contraddetto persino da certa legislazione statale; - per una concezione e dimensione del lavoro al di fuori delle secche corporative e produttivistiche ma al contrario proiettata nella costruzione di una società del lavoro libero, dell'impresa e della partecipazione; - per una qualità della politica finalmente svincolata sia dal moralismo, vale a dire di una morale senza politica, che dall'affarismo, vale a dire di una politica senza morale. ■ 22

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