.{)li. IJIANO) lXII.HOSSO iii•iil•b Diritto allo studio: dai principialla realtà di Valerio Talamo ' E di solare evidenza che il problema degli studenti capaci, meritevoli e privi di mezzi, ed in generale quello della qualità della formazione e della crescita culturale, è l'altra faccia della medaglia della svolta autonomistica dell'Università italiana che vive la sua delicatissima stagione di riforme. A dispetto del suo valore di precetto costituzionale tuttavia il diritto allo studio tradizionalmente ha occupato un ruolo decisamente marginale nelle politiche universitarie. L'attenzione del legislatore si è sovente diretta verso le politiche del personale docente e non docente (anche per le n.aturali pressioni del mondo sindacale) dimostratesi assorbenti rispetto ai problemi del diritto allo studio e dei suoi fruitori, realizzando per tal via, anche per l'Ente-Università, quella sopravvalutazione, così frequente presso tutte le pubbliche amministrazioni, degli aspetti occupazionali su quelli funzionali. Tale marginalità, contestualmente al permanere di una logica meramente assistenzialistica nelle tipologie di intervento dei poteri pubblici, è indice di una frattura fra società e sistema formativo che a sua volta è il segno inequivocabile dell'incapacità di comprendere il senso di mutamenti storici ancora in atto, che impongono l'accoglimento di una nozione ampia ed articolata di diritto allo studio da intendersi quale «dimensione polivalente ed onnicomprensiva della vita universitaria». È in questo senso ampio che il Costituente sancisce il diritto allo studio nell'art. 34 non limitandosi per altro ad un'opzione generica ma definendo con puntualità tale diritto, individuando i destinatari e le modalità di esercizio. Il diritto allo studio viene a costituirsi in un fascio complesso di prerogative per lo studente che, rendendo effettivo il principio costituzionale di uguaglianza sostanziale, vogliono garantire uguali opportunità e condizioni di partenza nei percorsi di crescita e for- • 20 ... -- ·--. mazione culturale, assicurando contestualmente tutti quei servizi di sostegno economico e funzionale necessari a consentire allo studente l'impiego delle proprie energie senza svantaggi di carattere economico-sociale. Nonostante ancora oggi non sia stata promulgata una legge nazionale sul diritto allo studio in grado di fornire il quadro di principi in cui devono muoversi le singole leggi regionali, il «quadrifoglio-Ruberti» predisporne interventi in questa direzione. La «laurea breve» prevista dalla legge sugli ordinamenti didattici (art. 2 L. n. 341/1990) realizza un superamento della rigidità dell'attuale modello formativo fondato sull'unico titolo a favore di un'offerta didattica modulare e differenziata articolata su diversi piani di studio; l'istituto del tutorato (art. 13 stessa legge) consegue analogamente risultati importanti sul piano dell'assistenza didattica. Su di un altro versante la legge sul1'Autonomia degli Atenei (approvata al momento solo dal Senato) riscrive, tramite il «Senato degli Studenti» e gli accresciuti poteri assegnati agli studenti in seno al Consiglio di Facoltà ed al Consiglio di Ateneo, le forme di partecipazione studentesca garantendo nuove possibilità di incidere sull'attuazione della didattica e mediatamente del diritto allo studio. Si tratta comunque di risultati parziali, come possono esserlo gli interventi predisposti, ed i risultati conseguiti nel vuoto legislativo causato dall'assenza di una già citata legge-quadro nazionale. Proprio a colmare tale lacuna è dedicato il quarto intervento specifico della legislazione autonomistica, ultimo «petalo» del quadrifoglio rubertiano. Il testo di legge che è attualmente alla discussione del Comitato Ristretto della VII Commissione (Pubblica Istruzione), di cui è relatrice la Sen. Manieri, si compone di 26 articoli e si apre con una puntuale redistribuzione di competenze fra Stato, Regioni ed Università (resa necessaria dal fat-
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