.PJJ, BIANCO lX11.nosso lii•lil•P che si intende rivendicare con il motto «Regole uguali per tutti»; - una più funzionale collocazione della previdenza nel sistema economico nazionale, soprattutto in rapporto ai meccanismi dell'accumulazione e al fisco; - una maggiore integrazione normativa del sistema pensionistico italiano rispetto a quello degli altri paesi della Cee in vista dell'integrazione ... Di tutto questo non c'è che qualche piccola traccia nelle «ipotesi di riforma» presentate da Marini alle parti sociali, non si sa se per saggiare il terreno o se perché questa è la linea del Governo. In effetti, le proposte del ministro del Lavoro si fanno carico del progressivo peggioramento dei conti e delle ancor più buie prospettive per il medio periodo e, per contenere la spesa previdenziale, inaspriscono le condizioni che danno il diritto alle prestazioni: viene elevata l'età pensionabile, viene elevato da cinque a dieci anni il periodo di riferimento per il calcolo della pensione, viene considerato anche il reddito del coniuge ai fini della determinazione dei limiti al di sotto dei quali matura il diritto all'integrazione al trattamento minimo. Sono previste poi modifiche che, oltre a fare risparmiare, avviano anche l'unificazione normativa. Esse si riferiscono all'estensione al pubblico impiego del requisito di 35 anni di contribuzione per poter chiedere la pensione di anzianità, all'estensione delle restrizioni sul cumulo pensione-retribuzione, all'estensione del riferimento agli ultimi dieci anni di lavoro, e non all'ultimo soltanto, ai fini della determinazione della retribuzione pensionabile. Rendono inoltre uguale per tutti l'età pensionabile e l'aliquota contributiva, che viene fissata nella misura del 7,540Jo. Considerate in sé, non sono «ipotesi» da scartare. Il guaio è che non si inseriscono in un quadro di coerente ed organica innovazione; appaiono fin dall'inizio come risultati di una mediazione, mentre non si è ancora incominciato a discutere. In particolare, mi preme per ora fare due osservazioni. Innanzitutto, mi sembra che il documento del Ministro prefiguri una riforma che riduce il grado della tutela pensionistica di cui, pur nella diversità dei differenti regimi, gode oggi il lavoratore e che non ci siano tracce, invece, di alcun proposito di ridisegnare l'intero sistema in modo che, distribuendo in maniera diversa i carichi e introducendo principi diversi lii 18 di organizzazione finanziaria (attribuire, per esempio, almeno un 30% della tutela pensionistica a regimi regolati con il principio della capitalizzazione), le garanzie non solo non diminuiscano, ma possano addirittura aumentare, come sarebbe d'altronde possibile ed auspicabile. Era insomma l'occasione buona per avviare un sistema articolato su più pilastri, del quale tanto si è parlato negli anni passati, che contemplasse tre fasce di tutele: una assistenziale a carico dello Stato, una assicurativo-previdenziale cui affidare compiti redistributivi e una di carattere integrativo. Quest'ultima, in particolare, facendo parte integrante del progetto di riforma, non poteva essere staccata da tutto il resto e venir delegata al Governo, come invece è previsto dalle ipotesi ministeriali. Apprezzabile è l'aver introdotto alcune ipotesi di uniformazione delle normative del settore pubblico a quelle in vigore nel settore privato. Ma l'intento riformatore si è fermato ben presto alla soglia di provvedimenti su aspetti importanti, che sono la causa di grandi disuguaglianze, quali la retribuzione pensionabile e i tassi di rendimento. Oggi le categorie che godono di retribuzione medie più alte sono anche quelle alle quali, per ogni anno di contribuzione, viene accreditata una percentuale di retribuzione maggiore, con quarant'anni di contribuzione, il lavoratore dipendente del settore privato si vede liquidata una pensione pari a circa il 60-65% dell'ultimo stipendio, lo statale una pensione pari al 94% dell'ultimo stipendio, il dipendente di un Ente locale o di un ospedale una pensione superiore all'ultimo stipendio. Oggi i lavoratori autonomi pagano un contributo inferi ore a quello dei lavoratori dipendenti. Non si tratta che di due esempi della giungla di requisiti diversi che riguarda le oltre cinquanta gestioni pensionistiche oggi esistenti nel nostro paese e che costano allo Stato più di cinquantamila miliardi l'anno, senza alcuna intenzione esplicita e discernibile di un'equa politica redistributiva. L'omogeneizzazione degli apparati normativi dei diversi fondi e gestioni resta dunque il primo, preliminare obiettivo di ogni intervento di riforma. Ed esso non è perseguibile che attraverso l'universalizzazione di una identica tutela di base che deve privilegiare i lavoratori con reddito più basso, consentendo a chi gode di redditi più alti di integrare la propria pensione at-
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