~JI. BIAN<.:O \Xli. ROS.',O iii•iil•d una risposta all'interrogativo legittimo sugli sbocchi di questo negoziato. Il pericolo che tutto si riduca ad una modifica del meccanismo della scala mobile accompagnato da una ulteriore fiscalizzazione degli oneri contributivi lasciando nella sostanza inalterato il sistema contrattuale è più reale di quanto non si creda. Uno sbocco minimalistico di questo tipo renderebbe ancora più superato un sistema di relazioni industriali che negli ultimi anni ha dimostrato di incidere marginalmente nelle dinamiche reali del sistema delle imprese e proietterebbe i suoi effetti negativi sulla possibilità di riforma delle regole contrattuali nel pubblico impiego la cui rigidità è sempre più incompatibile con le esigenze di efficienza e di qualità della vita della nostra società. Per il sindacato la strada si presenta perciò in forte salita. Esso ha necessità di innovare se vuole rafforzare la sua presenza nel sistema produttivo e nella politica economica e sociale, sa che per raggiungere questo obiettivo è necessario superare non pochi ostacoli e contraddizioni interne ed esterne che spingono verso aggiustamenti di scarso significato. D'altro canto esso non ha alternative se vuole rimanere negli anni '90, un soggetto protagonista della vita del paese. Credo che la possibilità di uscirne con un risultato positivo stia nella sua capacità di ancorarsi, con coerenza e determinazione, agli interessi vitali del paese che richiedono tutti riforme non contingenti, ed impegnarsi a lottare affinché le scelte ed i comportamenti dei vari interlocutori siano coerenti con tali interessi. Se ci riuscirà quello che molti descrivono come un confronto non vertenziale ed a perdere potrebbe diventare una delle vertenze più importanti e difficili di questi anni. Pensioni: non è ancorariforma di Mario Bertin D a più di dieci anni si discute sulla necessità e sull'urgenza, sull'urgente necessità di riformare il nostro sistema pensionistico. In tutto questo periodo, nonostante le proposte - alcune apprezzabili, altre meno - dei due ministeri Scotti, di De Michelis, di Formica e di Donat Cattin, insomma di tutti i ministri del lavoro che, dal 1978 in poi, si sono alternati a via Flavia, non è successo assolutamente nulla. O meglio, qualcosa è successo: ci sono stati dei provvedimenti buoni, come quello che ha rivisto le condizioni per l'assegnazione delle pensioni di invalidità, e altri - i più - che hanno peggiorato la situazione, in nome della ricerca del consenso politico. Ma, rispetto alla esigenza di riforma complessiva, la sostanza non è cambiata. Forse qualcosa di meritevole, però, c'è stato: che il gran dibattere di tutti questi anni ha almeno chiarito quali avrebbero dovuto essere le caratteristiche dell'intervento da adottare. Sulla loro bontà sono d'accordo tutti. Non si capisce perché, poi, quando qualcuno - parlamentare o ministro - formula delle proposte concrete non ne tenga più conto. Proviamo comunque ad elencarle. Dal nuovo quadro normativo ci si attende: - un antidoto adeguato ai processi degenerativi del sistema che derivano, come è noto, dal peggioramento del rapporto contributiprestazioni e, all'opposto, dal miglioramento (che per i fondi si traduce in un peggioramento finanziario) del rapporto pensione mediaretribuzione media; - l'omogeneizzazione dei requisiti e delle prestazioni in vigore nei regimi pubblici. È quel
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