Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 18/19 - lug./ago. 1991

i.>ll, BIAI\CO \Xli.ROSSO iii•iii•il Il tavolo del negoziato sul costo del lavoro vede seduti non solo gli imprenditori e i sindacalisti, ma anche il governo. È dunque una occasione da non perdere per realizzare un salto in avanti non solo nelle relazioni industriali, ma anche nell'efficienza dell'amministrazione dello Stato. C'è in Italia un'anomalia che ci allontana sempre più dall'Europa. Un imprenditore rimane in vita come soggetto economico se realizza profitto. Un politico può rimanere in vita anche realizzando deficit. Anzi da noi il deficit economico funziona talvolta come soluzione ai problemi di consenso politico. È lungi da me la convinzione che gli imprenditori costituiscano l'unica parte buona della società e che i politici siano tutti corrotti. Quello che voglio sottolineare è che le parti sociali hanno il dovere di cogliere questa occasione per contribuire a realizzare una vera svolta nella gestione dello Stato per rendere anche l'Italia competitiva a livello internazionale in un contesto di democrazia forte, efficiente, trasparente. Contratti:i <<nodi>d>i questo tempo difficile di Luigi Viviani e on l'avvicinarsi dell'apertura formale della vertenza sulla riforma del salario e della contrattazione, da tempo annunciata, va sviluppandosi un dibattito, tra i protagonisti e nel paese, che presenta i tradizionali caratteri della ritualità e della tattica. Eppure mai come in questa occasione ci sarebbero le condizioni per realizzare un confronto qualificato ed innovativo, capace di dare un significativo contributo alla soluzione dei problemi in discussione ed una nuova legittimazione reciproca tra le parti in causa. Da un lato premono infatti tutti i problemi irrisolti del paese alla vigilia dell'integrazione economica europea: dal differenziale d'inflazione alla disoccupazione meridionale, dal debito pubblico allo sfascio dei servizi. Lo stesso sistema produttivo ha una urgente necessità di superare ulteriori soglie di efficienza per reggere una competizione sempre più globale e ciò richiede una ulteriore spinta all'innovazione, specie di prodotto, una diversa capacità di integrazione sistemica e, soprattutto, una maggiore valorizzazione del fattore umano. In questo contesto il costo del lavoro è sicuramente un problema, in termini di incidenza degli oneri sociali, ma non la questione decisiva così come si affanna a gridare la Confindustria. In ogni caso ci sono problemi più che sufficientiper rendere utile enecessariaun'intesa idonea a realizzare un punto forte di convergenza e di aggregazione della volontà dei protagonisti. Questa vertenza di giugno si presenta dunque, potenzialmente, come una vertenza ad alto contenuto di innovazione del sistema di relazioni industriali e di quelle tra governo e parti sociali e, dal punto di vista del sindacato, una vertenza ad alto grado di confederalità. Un suo esito del genere sarebbe possibile se si verificassero alcune condizioni come un forte riconoscimento reciproco tra le parti, una tensione di ricerca di nuovi assetti contrattuali e partecipativi, uno sforzo per impostare i rispettivi comportamenti secondo criteri di più rigorosa compatibilità con le esigenze di stabilizzazione e di sviluppo del sistema e di più equa distribuzione della ricchezza prodotta. Ma, allo stato attuale della situazione, viste le posizioni e gli atteggiamenti dei protagonisti, non appaiono ancora sufficienti possibilità di incamminarsi su questa strada.

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