~-li-BIANCO lXll,HOSSO iii•iih•il Contratti: responsabilità,realismo di Giancarlo Lombardi Q uando queste riflessioni saranno sotto gli occhi dei lettori, il confronto tra governo e parti sociali sul costo del lavoro avrà già probabilmente preso una piega che, mentre scrivo, è difficilmente prevedibile. Sono stato sempre contrario alla logica dello scontro e al1'approssimarsi della scadenza del 20 giugno ho avuto modo di chiarire che piuttosto che di una contrattazione «vecchio tipo», il confronto tra governo e parti sociali avrebbe dovuto avere il carattere di una concertazione. Negli ultimi giorni ho potuto apprezzare il graduale superamento dell'iniziale approccio polemico. L'accordo deve infatti avere un respiro non polemico. Bisogna individuare un obiettivo e collaborare senza pregiudizi per raggiungere un risultato che aiuti la crescita del Paese. Il problema vero insomma è il ruolo dell'Italia e il futuro della nostra economia. Efficienza delle imprese, qualità dei servizi, potere d'acquisto dei salari si può dire che riguardino la stessa barca. Ma, se non devono esistere impostazioni pregiudizialmente polemiche, non possono esistere neanche tabù. La scala mobile non esiste in nessun altro Paese europeo, dunque non si può dire che sia intoccabile. C'è un problema di potere d'acquisto dei salari, ma c'è un altrettanto serio problema di superamento degli automatismi e delle indicizzazioni per restituire ruolo e peso alla contrattazione tra le parti sociali e raggiungere così gli obiettivi - questi sì davvero comuni - di lotta all'inflazione, sviluppo dell'economia, difesa dell'occupazione. Questo negoziato deve essere giocato a tutto campo, perché può costituire un'occasione davvero rilevante per dimostrare che le parti sociali possono concorrere a migliorare efficienza economica e qualità della vita nell'azienda Italia. Uno degli oggetti da non trascurare è sicuramente la situazione del costo del lavoro nel settore pubblico, sia per la gravità della situazione in sé che per l'effetto di trascinamento che certe rincorse retributive hanno sul settore privato. Non si può archiviare con faciloneria la recente denuncia del Governatore della Banca d'Italia che sottolinea come deficit, costo del lavoro e inefficienza dei servizi stiano bloccando lo sviluppo del nostro paese. Il pubblico impiego ha avuto un incremento retributivo annuo del 15%, nove punti in più dell'inflazione e questo ha fatto crescere anche nel settore privato il costo del lavoro per addetto a tassi superiori di 2-3 punti rispetto alla Francia o alla Germania. Negli ultimi dieci anni la forbice tra il salario medio dei dipendenti pubblici e quello degli impiegati e degli operai dell'industria si è notevolmente allargata: nel '79 in media i dipendenti pubblici erano pagati il 6% in più e oggi sono arrivati al 16,8% in più. Ma, quel che è più grave, nei dieci anni presi in esame, mentre la produttività dell'industria è salita del 30,8%, quella dei dipendenti pubblici è addirittura diminuita dell' 1,8%. L'investimento dello Stato per il servizio scolastico - una parte del settore pubblico che, per l'incarico ricoperto in Confindustria, mi interessa da vicino - raggiunge i 60 mila miliardi e il nostro corpo docente è tra i più numerosi d'Europa. Eppure l'aumento del costo del servizio non è in alcun modo legato al miglioramento della sua qualità. Io credo che non solo gli imprenditori, ma anche i sindacati, abbiano il dovere di affermare che la partecipazione dell'Italia all'Europa, dove la concorrenza si gioca tra sistemi e non solo tra imprese e prodotti, non è compatibile con l'esistenza di settori nei quali la qualità dei servizi si abbassa e l'andamento retributivo ignora ogni compatibilità economica.
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