_{)_fJ, BIANCO l.Xll.llOSSO iii•iilib Dal <<fronte>> della salute di Teresa Petrangolini ' E con un certo stupore che la stampa ha reagito ai primi dati del rapporto sullo stato dei diritti dei cittadini nel Servizio sanitario nazionale, realizzato quest'anno per la prima volta dal Movimento federativo democratico, in collaborazione con il Ministero della sanità e con il Consiglio sanitario nazionale. In particolare uno dei fenomeni che ha colpito l'attenzione dell'opinione pubblica è stato quello delle «lenzuola»: circa il 40% degli italiani quando si ricovera in ospedale deve portarsi da casa i cosiddetti generi letterecci, le posate e la carta igienica. Un'altra notizia non meno allarmante è rappresentata dalla sistematica violazione del diritto all'informazione: il 33,8% dei degenti intervistati lamenta di non sapere nulla circa la propria malattia, gli accertamenti diagnostici a cui è sottoposto, le cure che gli vengono regolarmente somministrate. La percentuale sale quando si parla della conoscenza dei tempi della degenza (63,4%) e del rapporto tra medico curante e medico ospedaliero, assente nel 54,9% dei casi. C'è chi è rimasto sconcertato di fronte a questi dati che per la loro elementarità e la loro banalità rendono inutili e anacronistici tanti bei discorsi sul futuro della sanità. È chiaro che le informazioni sono ancora insufficienti per avere una esatta conoscenza del livello di qualità dei servizi, letto e valutato - come si intende fare con questa indagine - con lo specifico punto di vista dei cittadini. Per avere una immagine più complessiva e più ricca bisognerà infatti aspettare il convegno internazionale, che concluderà dal 23 al 26 maggio il decennale del Tribunale per i diritti del malato e nel corso del quale verranno presentati l'insieme dei dati emersi dal rapporto(*). Una cosa però risulta con chiarezza già ora: quello che non funziona nella sanità e che diventa fonte di sofferenza inutile per la maggioranza di coloro che si rivolgono al servizio, riguarda principalmente due aspetti, l'organizzazione dei servizi e la cultura professionale di chi ci lavora. La gente è tendenzialmente soddisfatta della qualità tecnica, ma poi si trova a scontrarsi con un sistema che non prevede il soddisfacimento di diritti elementari, quali possono essere quelli legati al comfort e all'igiene, o ancora a un corretto rapporto con gli operatori sanitari, soprattutto medici, che garantisca il livello di informazione, ritenuto più o meno da tutti necessario. I rimedi ad un tale stato di cose, che non sono certo così semplici e scontati, non richiedono però grandi sconvolgimenti, ma solo la volontà da parte di tutti gli addetti ai lavori di prendere sul serio i diritti dei cittadini. In sostanza l'attuazione dei diritti di cui la gente chiede tutela non può più essere considerata un aspetto secondario e marginale della politica sanitaria, ma tende a rappresentare ormai l'unico metro serio per valutare se un servizio funziona o no. Se in un ospedale, infatti, i cessi sono sistematicamente sporchi, ciò significa che c'è qualche problema organizzativo, o che c'è qualcuno che non fa il suo dovere e che nessuno controlla, o ancora che l'appalto delle pulizie è stato dato con leggerezza e quindi si sta verificando uno spreco di danaro pubblico. Non c'è certo bisogno di andare molto lontano per cambiare le cose: è necessario semplicemente che ognuno, per la sua parte, si assuma le sue responsabilità, senza nascondersi dietro i regolamenti, le difficoltà legate ad abitudini consolidate, la carenza di strutture e di fondi, e così via. Tutto questo certamente non sarebbe possibile senza soggetti che garantiscano, attraverso una presenza attenta e quotidiana, la priorità di una politica sanitaria costruita sulla tutela dei diritti dei cittadini. Qualcosa probabilmente potrà cambiare attraverso l'immissione di figure nuove nella gestione delle Usl - penso all'introduzione degli amministratori-
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