ti» (54mila e 70Jo),di residenza elettiva (44mila e 6%), religiosi (39mila e 5%) e per commercio (20 mila e 30Jo).Di poca entità le cifre relative ad altre motivazioni. La ripartizione per grandi aree geografiche si può seguire a partire dal 1986, verificando la situazione esistente anteriormente alla prima legge sul1'occupazione degli stranieri (L. 943/1986) e alla prima sanatoria. A loro volta i dati relativi a fine 1990 consentono di rendersi conto dell'impatto avuto dalla seconda legge sull'immigrazione (L. 39/1990) e dalla seconda sanatoria. Nel quinquennio 1986/1990 il Centro rimane sempre il perno più significativo per l'accoglienza e tuttavia dal 43,2% scende al 41 OJo (dopo aver raggiunto il massimo del 46,3% nel 1987). Il Nord, cui nel 1986 era andato il 40,9%, si è attestato sul 38,9%, un valore più alto rispetto agli anni precedenti seppure ancora ridimensionato in relazione alle potenzialità dell'area. Il Sud ha conosciuto una lievissima variazione passando dal 10,40/o all'll,1 OJo. Invece le Isole sono state l'area che ha conosciuto la più alta variazione, passando dal 5,5% del 1986 al 9% del 1990. ,{).lL BIANCO l.XILROSSO i lii R11 Ai I i ii tiMbb Questi dati attestano senza ombra di dubbio che alla presenza degli immigrati non fa riscontro un'adeguata disponibilità all'accoglienza. Molti sono senza lavoro e, per di più, insediati in aree già duramente colpite dalla disoccupazione. Carente un po' da per tutto, ma specialmente là dove il numero è più alto, è la politica dei servizi sociali. Ora, senza lavoro e senza servizi sociali, non si può dire che la nostra politica migratoria sia improntata all'accoglienza. Queste constatazioni inducono a ipotizzare alcune linee di intervento. Non si deve fare lo sbaglio di considerare le migrazioni la leva principale per la soluzione del problema occupazionale del Terzo Mondo. Innanzitutto viene il problema della cooperazione allo sviluppo, rispetto al quale i Paesi ricchi hanno molto da rimproverarsi. In Italia abbiamo una buona legge (49/1987), che prevede il protagonismo anche delle Regioni e delle organizzazioni sociali: purtroppo la sua applicazione non è esaltante e l'opinione pubblica risulta scarsamente sensibilizzata. La politica migratoria può essere considerata solo una leva secondaria, anche se in questa fase è indispensabile (un male necessariosecondo l'enciclica MOTIVI DEL SOGGIORNO 1989 1990 Motivi soggiorno Valori assoluti OJo Valori assoluti OJo Lavoro dipendente 26.602 25,8 177.212 22,7 Perf. Pratiche Lav. 5.384 1,1 20.103 2,6 Iscrizione Liste Collocamento 11.832 2,4 163.484 18,4 Marinai attesa imbarco 66 107 Lavoro autonomo prof. 9.591 2,0 19.981 2,6 Perf. lavoro autonomo prof. 3.895 0,5 LAVORO 153.475 31,7 384.782 49,3 Motivi di studio 67.428 13,7 75.653 9,7 Motivi di famiglia 84.669 17,3 97.660 12,5 Asilo politico 3.535 0,7 4.785 0,6 Attesa emigrazione 3.007 0,6 4.833 0,6 Motivi religiosi 34.135 7,0 39.279 5,0 Residenza elettiva 37.812 7,7 43.694 5,6 Turismo 55.680 11,4 68.968 8,8 Salute 2.284 0,5 2.481 0,3 Giudiziari 648 0,1 1.032 0,1 Detenzione 11 21 Attesa adozione 1.569 0,3 3.659 0,5 Attesa affidamento 20 97 Non specificati 46.115 9,4 53.994 6,9 Totale 490.388 100 781.138 100 Elaborazioni su dati Ministero dell'Interno. Areegeo gra I --- - 71 I - «Laborem Exercens»). Questa secolare esperienza di mobilità è di scarso aiuto, non solo perché rimossa ma anche perché l'immigrazione dal Terzo Mondo è un fenomeno di segno nuovo. Dal punto di vista sociale viene a mancare il quadro omogeneo del contesto occidentale con rilevanti differenze a livello culturale, religioso e anche giuridico (Islam). Dal punto di vista occupazionale è palese lo sganciamento tra domanda e offerta. Nell'immediato dopoguerra i paesi occidentali hanno sollecitato le migrazioni avendone bisogno per il loro sviluppo; dalla prima crisi petrolifera del 1973le hanno accolte con riserva a seconda dell'andamento congiunturale; negli anni a noi più vicini le politiche sono diventate restrittive salvo che per ridotte quote di immigrati. A prescindere da queste restrizioni, dal Terzo Mondo si cerca di fuggire a causa delle disperate condizioni di vita e della mancanza di sbocchi occupazionali. I paesi poveri non sono in grado di tenere la propria gente e quella ricca non è in grado di accoglierla se non in misura limitata. Secondo mons. Luigi Di Liegro, direttore della Caritas diocesana di Roma, il difficile compito della politica migratoria consiste nel passare dai bisogni immediati dell'emergenza alla programmazione, agendo di conseguenza sulla mentalità nostra e degli stessi immigrati. Molti sono i punti meritevoli di attenzione che la Caritas stessa e altre organizzazioni sociali hanno posto in evidenza: l'impossibilità di una vera accoglienza senza rinunce da parte di chi accoglie; utilizzo dei fondi per l'accoglienza in maniera duratura privilegiando le strutture stabili; controllo degli interessi particolaristici in gioco; eventuale partecipazione degli assistiti alle spese e loro coinvolgimento nella prospettiva di un inserimento autosufficiente; intervento per quanto possibile promozionale anche nella fase dell'emergenza; precisazioni sui ruoli specifici degli enti locali e delle organizzazioni sociali e reciproco collegamento, senza peraltro rinunciare al ruolo tipico del volontariato di stimolo, sostegno e denuncia; collegamento tra i vari organismi sociali, valorizzando la specificità delle competenze, senza passare dalla emulazione alla competizione (in generale e spe-
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