Il potenziale esplosivo che racchiude in sé la Federazione iugoslava rischia infatti di coinvolgere oltreconfine sentimenti nazionalistici che potrebbero rivelarsi incontrollabili. Mentre alcune repubbliche, quali le ricche regioni del nord, la Slovenia e la Croazia, potrebbero trarre dalla secessione un diretto vantaggio economico, altre, come la Bosnia-Erzegovina, dalla varia composizione etnica e religiosa, rischierebbero addirittura di scomparire, inglobate da un aggressivo espansionismo serbo. L'inquietante presenza della popolazione serba, disseminata in densità diversa praticamente sull'intero territorio iugoslavo, è del resto un elemento che neppure la Croazia si può permettere di ignorare. Nell'agosto scorso infatti la popolazione serba presente in Croazia, particolarmente densa nella regione attorno a Knin, ha indetto un referendum per rivendicare l'autonomia culturale, e, ultimamente, sobillata da Belgrado, è giunta a dichiarare la propria unificazione con la Serbia. Le difficoltà in cui si trova il governo croato nell'affrontare la minoranza serba e la minaccia di un'invasione dell'esercito di Belgrado rischia, tra l'altro, di ingenerare per reazione nella stessa Croazia sentimenti nazionalistici esasperati, un fenomeno particolarmente inquietante dato che la convivenza pacifica di molteplici minoranze etniche, non ultima quella italiana, è una necessità imprescindibile per il benessere della regione. La stessa Serbia, la regione più estesa della federazione, non è immune da gravi tensioni etnico-religiose: sul suo territorio si ritagliano due enclaves culturali, il Kosovo e la Vojvodina, che, sino all'89, godevano dello statuto di regione autonoma, oggi rivendicato. Il Kosovo, abitato per più dell'800Jo da albanesi musulmani, rappresenta una cultura radicalmente diversa da quella serba; le rivendicazioni di indipendenza della regione vengono perciò interpretate non solo come una minaccia all'integrità del territorio serbo, ma anche come la realizzazione delle mire espansionistiche della vicina Albania; il Kosovo albanese appare in pratica ai serbi ciò che la regione di Knin serba è per i croati - gli strumenti per affrontare il problema sono tuttavia «altri» i.l-lLBIANCO lXltROSSO •Iii B11AiI i ii (i)~• 1111 Ripulitura a mano del bronzo - Milano nel Kosovo: le repressioni, l'emarginazione, i soprusi e le violenze contro l'etnia albanese sono triste pratica comune ... La Vojvodina, che appare meno esacerbata nel rivendicare l'autonomia recentemente perduta, costituisce anch'essa un'area di potenziale instabilità per il governo serbo: qui infatti si concentra la più alta densità di ungheresi, una minoranza etnica rilevante in Serbia, che, in seguito alle riforme democratiche attuate in Ungheria, va rivendicando con crescente insistenza la propria appartenenza ad un'altra nazionalità, rischiando di diventare per la Serbia un ulteriore focolaio destabilizzante. In caso di disgregazione della federazione, il Montenegro e la Macedonia, politicamente in linea col governo di Belgrado e etnicamente affini alla Serbia, sarebbero probabilmente le prime regioni ad essere inglobate senza grossi traumi, in una nuova Serbia allargata. Qualora la carta geografica della Iugoslavia dovesse (malauguratamente) essere ridisegnata sarebbe tuttavia la Bosnia-Erzegovina la prima ad essere esposta alla minaccia dell'aggressivo espansionismo serbo. Situata tra la Serbia e la rivendicata regione attorno a Knin, la BosniaErzegovina manca di un'identità culturale forte; la sua popolazione si divide equamente tra albanesi, serbi e sloveni. In quanto stato sovrano, isolato dalla federazione, avrebbe pertanto poca ragione di esistere e la sua sopravvivenza è inevitabilmente legata al permanere della federazione. In un'ipotetica ridefinizione dei confini interni della Iugoslavia, la precaria esistenza di tante culture e tante etnie non potrebbe che essere ulteriormente minacciata: all'interno di una confederazione è difficile immaginare quali nuovi equilibri si potranno costituire, e, soprattutto, a quale prezzo. Auguriamoci che tali incognite e tali rischi siano ben presenti in quegli elettori che nei prossimi giorni potrebbero essere chiamati a votare, con il referendum, pro o contro l'implosione dei Balcani. Strumento perfetto della volontà di un popolo, il referendum può divenire arma pericolosa quando è il solo timido segno di una vacillante e malferma società democratica, la cui forzata coesione può essere decisa, da un momento all'altro, dall'intervento dell'esercito serbo, la cui presenza, ora nell'ombra, non deve essere dimenticata. A tutt'oggi infatti, malgrado l'opposizione della Serbia e della Croazia, l'esercito assorbe il 500Jodella spesa del bilancio federale iugoslavo. La comunità internazionale, cosciente del latente pericolo di un intervento dell'esercito serbo contro le repubbliche secessioniste, dovrebbe cercare di adoperarsi per assicurare alla Iugoslavia, prima di ogni riforma economica, ciò che è stato definito come l' «aggiustamento democratico». Gli strumenti per esercitare pressioni sul governo iugoslavo non mancano; a livello comunitario, la firma del Terzo Protocollo Finanziario con la Iugoslavia è stata finora congelata, in attesa degli sviluppi della situazione politica. Non diversamente, ci auguriamo, vorrà operare la Banca europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, appena costituita, i cui prestiti, per essere giustificati, eticamente, ma anche economicamente, dovranno necessariamente essere vincolati alla garanzia democratica.
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