B vertici del potere nel periodo della più spietata tirannide, continuano a dichiararsi orgogliosamente comunisti anche se affermano che la democratizzazione è irreversibile e che il partito del lavoro tiene saldamente in pugno le tre principali leve del potere: l'amministrazione statale, l'esercito e la polizia. L'altra domanda concerne il futuro dei partiti di opposizione: di essi si sa troppo poco per capire quale sbocco politico reale possano dare alle speranze suscitate nel paese. I loro programmi non sono molto chiari; si limitano ad affermazioni di principio quali la libertà, il pluralismo, il passaggio dall'economia centralizzata a quella di mercato ma non indicano come ciò possa avvenire avendo solo fiducia nell'aiuto dell'occidente da cui sperano, un po' infantilmente, la soluzione dei loro problemi. Se è vero che in particolare la comunità europea, alla quale tutti gli albanesi - dai dirigenti politici alla moltitudine di cittadini, specie giovani, .P.lL BIAl\CO lXltllOSSO 1ii•R11 di i iitiMhii che si fermano a parlare per le strade - guardano con interesse, non può farsi carico totalmente della ricostruzione politica ed economica dell'Albania, è altrettanto certo però che essa ha dei compiti precisi: anzitutto quello di non dimenticare questo pezzo d'Europa, ma di seguire attentamente gli sviluppi degli avvenimenti e svolgere un'azione di controllo costante sull'attività del governo per evitare il ripetersi della efferata dittatura che ha afflitto l'Albania per 46 anni. L'attenzione è tanto più doverosa oggi che molti cittadini si sono esposti nella convinzione di poter cambiare regime. Il timore è che si scateni la rappresaglia della Sicurimi (la polizia segreta) e che si giunga ad un imbarbarimento della vita politica con rischi di guerra civile oppure che, impauriti, i democratici si richiudano in se stessi piegando nuovamente la testa. Deve essere ben chiaro che solo se vi sarà il rispetto dei diritti umani ed un avvio di vita democratica per cui le elezioni del 31 marzo si possano considerare un punto di partenza e non un episodio isolato, la Cee potrà concedere aiuti economici. È inoltre necessario avere contatti con i partiti di opposizione per capirli meglio e per sostenerli nel loro difficile cammino affinché non si disperda la «vittoria qualitativa» che hanno ottenuto. Quando sono partita un gruppo di ragazzi, guardandomi con gli occhi tristi, mi ha detto «Ora tu ritorni nel tuo bel paese e non ti ricorderai più di noi, ma noi ti ricorderemo perché tu sei stata qui nei giorni della speranza e in quello della delusione». Ho loro risposto: «Non sarà così» perché non può essere così: l'Europa verrebbe meno al suo dovere e alla sua tradizione di comunità libera, progredita, aperta, se non sapesse far tornare la speranza e il sorriso sul volto dei giovani albanesi. Iugoslavia: dis-unionecontinua? Iugoslavia o no? A questa domanda potrebbero essere chiamati arispondere entro maggio i cittadini della Federazione balcanica, stando alla decisione presa agli inizi di aprile dai ministri delle sei repubbliche. Il dialogo politico tra i governi regionali, faticosamente ricercato nel corso degli ultimi mesi, pare infatti impossibile e tutti i tentativi di risolvere le dispute al vertice sembrano ormai naufragati. Ultima risorsa, il referendum. In Iugoslavia, come in Unione sovietica, poche settimane addietro, starebbe dunque al popolo decidere se il paese può ancora rimanere unito. L'alternativa a cui gli iugoslavi dovrebbero rispondere è il mantenimento della atdi Marcella Pellegrino tuale Federazione iugoslava o la secessione delle sue repubbliche in stati sovrani, indipendenti e autonomi, raggruppati in una Confederazione. Indire un referendum, nelle condizioni in cui oggi la Iugoslavia si trova, pare più l'atto disperato di una sconfitta della dialettica politica che una vittoria della nuova democrazia pluripartitica. La impossibilità di dialogo tra i rappresentanti delle sei repubbliche non è d'altronde tanto sorprendente; le libere elezioni indette nel '90, che hanno eletto il governo «socialista» serbo e quello pluripartitico in Croazia e in Slovenia hanno già mostrato quali profonde divergenze esistano tra gli eletto- ~ 68 - - --- - - - -- ri della federazione. A tali differenze si aggiungono le più radicate ostilità di matrice etnica, religiosa e nazionalistica. La comunità internazionale si è già espressa contro la secessione della Iugoslavia; ma questo non sembra scoraggiare repubbliche radicali, quali la Slovenia e la Croazia, che già minacciano, in caso di vittoria referendaria della soluzione federale, di effettuare ugualmente la secessione. La sopravvivenza della Iugoslavia unita appare alla comunità internazionale una condizione necessaria per la pace e la distensione nei Balcani: lo ha affermato la Cee e lo ha ribadito il presidente americano Bush.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==