.P-lLBIANCO lXILROS.SO •IIIBGAll•iit•M•Hi Albania a rischio: la nostra responsabilità S embrava un paese inesistente, cancellato dal consesso internazionale: per decenni non si era parlato più dell'Albania, quasi che in quella parte del pianeta non esistessero oltre 3 milioni di individui sottoposti ad una spietata dittatura, oppressi dalla miseria, impossibilitati ad avere contatti con il resto del mondo. Improvvisamente gli albanesi sono scesi in piazza: hanno abbattuto le statue dei tiranni, hanno fondato partiti democratici, si sono ammassati nei porti e nelle montagne per raggiungere l'Italia e la Grecia ove vi è benessere economico e soprattutto «Liri' - Demokratie». E allora noi occidentali, liberi ed opulenti, ci siamo accorti che esisteva ancora un pezzodi muro: quello che segregava gli albanesi, che faceva si che a 70 Krri. dall'Italia esistesse un popolo senza diritti, costretto a vivere in condizioni quasi medioevali. Eppure la gente che giungevain Italia non era rozza, ma intelligente, e c'è da chiedersi come abbia potuto sopportare per tanto tempo una vita al limite dell'umano. Perché tale è la situazione in Albania: l'economia è a pezzi, il reddito procapite bassissimo, le fabbriche non lavorano per mancanza di materie prime, l'agricoltura è primitiva, la situazione igienicosanitaria disastrosa (manca il vaccino antipolio, quello contro l'epatite virale, vi sono otto reni artificiali in tutta l'Albania, scarseggia l'insulina, in parecchie abitazioni più simili a baracche che a vere case non vi è né acqua né servizi igienici, etc.). Non c'è dunque da stupirsi se esistono ancora malattie come la scabbia e se negli anni '90 si muore ancora di tifo. A ciò si aggiunga un rigido controllo di polizia: ogni minimo dissenso era brutalmente punito: si calcola che vi di Maria Magnani Noya siano state centotrentamila esecuzioni per reati politici, non si conosce il numero dei detenuti politici alcuni dei quali hanno scontato 30-40 anni di reclusione; la costituzione dichiara che l'Albania è uno stato ateo, mostruosità a cui nemmeno Stalin era giunto, tutte le religioni sono state selvaggiamente perseguitate (su 100 preti cattolici residenti in territorio albanese nel 1946, 90 sono stati uccisi), le chiese, le moschee sono state trasformate in garages, palestre etc., il semplice possesso di una croce era considerato atto di grave-insubordinazione. Nonostante tutto ciò il partito del lavoro (comunista) in elezioni che, anche se vi sono state intimidazioni e minacce, si sono svolte abbastanza regolarmente, ha ottenuto una schiacciante vittoria (64,70/o). Ciò dimostra in quale stato di ignoranza e timore il comunismo abbia tenuto questo popolo per poco meno di mezzo secolo. È vero che la quasi totalità dei seggi del partito del lavoro è stata conquistata nelle campagne mentre il partito democratico, unico partito dell'opposizione affermatosi, ha stravinto nelle città. Le ragioni di questa diversità possono essere individuate nella difficoltà per l'opposizione di farsi conoscere nelle campagne, in un paese ove solo le autorità, e quindi i comunisti, posseggono automobili, ove certi villaggi sono totalmente isolati e per 46 anni hanno conosciuto solo il partito dominante, ove i mezzi di informazione sono rigidamente controllati dal regime, ove gran parte dei contadini è analfabeta non c'è da stupirsi se l'opposizione sorta solo tre mesi fa non abbia potuto raggiungere tutti gli elettori. A ciò si aggiunga che recentemente ai contadini è stato ridato un piccolo faz- : 67 zoletto di terra e qualche bestia e che nelle campagne ha giocato pesantemente il ricatto dei capi delle cooperative, che detengono il potere di acquistare o no i prodotti dei contadini, e l'atavica paura. Oggi si può pertanto dire che esistono due Albanie: quella rurale comunista e quella urbana democratica. I dati elettorali corrispondono esattamente alla distribuzione demografica: i contadini formano il 65-700/odella popolazione e il partito comunista ha avuto circa i 2/3 dei voti, nelle città vive un terzo degli albanesi e il partito democratico ha ottenuto circa un terzo dei seggi. Ma il voto del 31 marzo preoccupa anche perché all'interno del partito del lavoro ha trionfato l'ala dura dei fedelissimi del defunto dittatore Enver Hoxha che sono stati tutti eletti mentre i cosiddetti progressisti, a cominciare dal presidente della repubblica e dal ministro degli esteri, sono stati sconfitti. Oggi gli albanesi hanno il terrore, giustificato anche dagli ultimi avvenimenti post-elettorali, che si ritorni al passato ed aspirano unicamente ad abbandonare il paese per venire in occidente. Le domande che ora si pongono sono tre: due riguardano il futuro del1'Albania, una coinvolge la nostra responsabilità. Il processo di democratizzazione continuerà nonostante il risultato elettorale o le elezioni sono state una parentesi e il partito del lavoro, magari con un trasformismo cosmetico, riprenderà la strada della brutale repressione? Non si dimentichi che anche i cosiddetti riformatori, peraltro sconfitti e della cui buona fede comunque è lecito dubitare, essendo stati ai
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