Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 17 - giugno 1991

importo assai misero. Ma, ad una osservazione empirica, non sembra che altrettanto si possa dire dei pensionati. Io credo - ed è constatazione comune - che gran parte dei pensionati riescano a cumulare redditi diversi, da pensione e non, e a costruirsi mediamente una condizione di vita un po' migliore di quella che sembrerebbero accreditare gli importi delle pensioni. Ricerche condotte in Francia indicano che i pensionati, pur avendo un reddito lordo inferiore al reddito delle persone in età lavorativa, godono tuttavia di un reddito disponibile maggiore (il reddito disponibile viene calcolato sottraendo dal reddito lordo l'indebitamento). Lo stesso succede negli Stati Uniti, dove lo scarto tra giovani e vecchi è ancora maggiore: il patrimonio delle persone con più di 65 anni supera quello dell'americano medio di circa il 60 per cento. Bisogna inoltre tenere presente che la maggior parte dei pensionati è proprietaria dell'alloggio in cui vive, che le famiglie degli anziani sono generalmente meno numerose delle famiglie dei giovani, che nell'età anziana diminuiscono le esigenze di beni strettamente legati all'esercizio della professione e alla formazione del reddito. In modo approssimativo, ma non per questo meno certo, si può affermare che le persone anziane hanno delle riserve cui attingere. I vecchi di oggi sono capaci di prevedere la loro vecchiaia avanzata e di pensare anche agli eredi. Se non dilapidano completamente il loro patrimonio, vuol dire che la loro situazione finanziaria è migliore di quanto usualmente si pensi. Non sorprende, pertanto, che i tassi più alti di risparmio si registrino proprio tra gli anziani e i pensionati. Il tasso di risparmio lordo in Francia a seconda dell'età del capofamiglia presenta i seguenti dati: -1,6% per le persone con meno di 25 anni (vuol dire che non solo un giovane capofamiglia non risparmia, ma che spende più di quanto guadagna); 11,2% per le persone da 25 a 34 anni; 13,40Joper quelle da 35 a 44 anni; 13,11% per le persone da 45 a 54 anni; il 15,2% per le persone da 55 a 64 anni, e, infine, il 14,7% per le persone da 65 anni in avanti. Il tasso di risparmio degli ultrasessantenni, dunque, è notevolmente superiore alla media nazionale (11,2%). E non è vero che la ~.tJ.BIANCO l.Xlt HOSSO ■ ii•#hlil propensione al risparmio derivi dalla riduzione dei consumi (con l'eccezione dei consumi di beni durevoli). C'è tutta l'evidenza che gli anziani non consumano meno dei giovani. Consumano invece cose diverse. Un altro dato largamente condiviso è che le disuguaglianze sociali crescono con l'età, perché, come è noto, le differenze patrimoniali sono maggiori delle differenze esistenti tra i salari; e il reddito da patrimonio è rilevante soprattutto nelle età avanzate. Abitualmente queste disuguaglianze non nascono nella terza età. Peggiorano, questo sì, ma le si trova anche prima tra categoria e categoria di cittadini e anche all'interno della stessa categoria socioprofessionale. Bisogna stare attenti a non confondere i problemi legati all'età con quelli legati al sistema delle retribuzioni o all'organizzazione sociale o - ed è un pericolo che si corre facilmente - alle generazioni. È piuttosto recente il fenomeno - ma andrà verosimilmente espandendosi nel futuro - di una nuova dipendenza delle generazioni giovani da quelle anziane. Un tempo la dipendenza era dovuta al mantenimento fino alla morte della proprietà dei mezzi di produzione e, quindi, della responsabilità nella conduzione dell'azienda, agricola o artigianale che fosse. Con l'avvento dell'era industriale, i giovani si erano affrancati da tale dipendenza. Essa sembra ritornare ora con riferimento al patrimonio, in particolare a un bene specifico quale è la casa. Per un giovane di oggi è assai difficile poter risparmiare in misura sufficiente da potersi acquistare l'appartamento o la casa. E se la casa non è di sua proprietà, non riuscirà, se non assai difficilmente, a raggiungere i livelli di benessere che erano invece possibili nel passato decennio. Il benessere delle generazioni giovani dipende dunque, in larga misura, dall'aver ricevuto oppure no in dono o in eredità l'alloggio dai propri genitori. Ecco allora profilarsi all'orizzonte un periodo di nuovo potere nelle mani dei vecchi, di blocco nella distribuzione della ricchezza e, conseguentemente, di minore mobilità sociale. Il fenomeno, già conosciuto nell'Ottocento, è aggravato oggi dalla caratteristica peculiare della nostra epoca, che consiste nella grande espansione numerica della popolazione anziana. Mentre prima alla scala dell'età corrispondeva anche una scala gerarchica nella distribuzione del potere (molto simile a quella militare), che risultava proporzionalmente ripartito tra diversi gruppi di età, oggi la detenzione e la conservazione del potere dipendono, o almeno teoricamente possono dipendere, dalla volontà degli anziani in quanto gruppo sociale più numeroso. È forse questa una, anche se non l'unica, causa della rigidità del quadro politico italiano. Ed è evidente che l'anziano è portato più al mantenimento, alla conservazione che non al rinnovamento e all'incoraggiamento a intraprendere strade nuove. Il potere di ricatto delle generazioni anziane sulla società può diventare così fortissimo, e, per la sua capacità di determinare scelte in favore di una sola categoria, iniquo. Determinante è anche la loro capacità di pressione sulle forze politiche e di governo. Basti pensare a fatti recenti: un giorno si stanziano 20.000 miliardi per sanare la situazione determinatasi per effetto delle pensioni d'annata (fenomeno che, peraltro, anche per effetto della ventilata riforma, quando essa verrà realizzata, sarà sempre più frequente) e qualche giorno dopo, per porre un freno alla denuncia della spesa pensionistica, si propone di elevare l'età pensionabile e di ridurre il coefficiente di rendimento abbassandolo, per i nuovi pensionati, dal 2 all'l,75% per ogni anno di contribuzione. Due misure non legate tra loro da alcun nesso logico che non sia quello della ricerca del consenso di un gruppo sociale così importante com'è quello dei pensionati. E di esempi simili se ne potrebbero portare a volontà. Potranno a molti sembrare provocatorie queste affermazioni. Il nostro desiderio sarebbe, invece, quello di vedere gli stessi pensionati farsi carico di progetti che tengano conto dei problemi complessivi della società, legando i propri interessi a quelli dei lavoratori e, soprattutto, dei giovani. Si tratta di una nuova forma della solidarietà, che deve partire da quelli che, fino ad oggi, ne sono stati prevalentemente i destinatari. Mi sembra questo, tra l'altro, il modo migliore per pensare, oltre che ai pensionati di oggi, anche a quelli di domani, di un domani non lontano.

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