da alcun sistema produttivo. Le previsioni sono di dieci anni fa, ma solo ora, anche per effetto della gravissima crisi fiscale dello Stato e per l'entità del debito pubblico, si comincia ad avvertire l'urgenza di intervenire. Considerato che, in ogni caso, provvedimenti più restrittivi dovranno essere adottati in tempi non lontani, la conclusione sarà che a beneficiare del patto sociale che fonda l'attuale regime previdenziale del nostro paese saranno soltanto le generazioni di lavoratori andati in pensione dalla fine degli anni '50 ad oggi. Già da ora, dunque, si verifica il paradosso del lavoratore che paga per mantenere in vita situazioni di privilegio, di cui certamente lui non potrà godere. Come si vede, si tratta di un tipo di solidarietà tanto disinteressata da rasentare l'autolesionismo, che non può essere esigita da nessuno. Tanto è vero che, per correggere gli inconvenienti derivati da un utilizzo distorto della solidarietà e dalle conseguenzeche ne sono seguite, si sta reintroducendo nel nostro sistema previdenziale un meccanismo tipico del mercato: il principio della capitalizzazione. Lo strumento ipotizzato è quello dei fondi integrativi di pensione. Il secondo tipo di solidarietà sviluppatosi attraverso il sistema previdenziale è la solidarietà intercategoriale. In altre parole, il sistema pensionistico ha costituito uno strumento di redistribuzione del reddito da una categoria all'altra di assicurati. Sarebbe logico supporre che la direzione della redistribuzione sia stata dalle categorie più forti verso le categorie più deboli. Ciò però è vero solo in parte. È infatti successo che quote cospicue del prelievo contributivo operato sulle retribuzioni dei lavoratori privati dell'industria e del terziario sono servite a finanziare i fondi pensione dei lavoratori autonomi (commercianti, artigiani, coltivatori diretti, mezzadri e coloni) e dell'agricoltura. Ricordiamo soltanto che, quando, nella prima metà degli anni '60, sono state costituite in seno all'Inps le gestioni speciali per i lavoratori autonomi, bastava un anno di contribuzione, contro i quindici richiesti agli altri assicurati, per aver diritto, in presenzadell'età o dell'invalidità, alla pensioneminima. Un'altra direttrice in cui è avvenuta la redistribuzione è stata quella Nordi.)_fj. Bl.\~CO l.X11.nosso •U•##Oiii Vetturini a piazza San Pietro Sud. Essa si è avvalsa soprattutto del ricorso al pensionamento per invalidità, che, appunto nellle regioni meridionali, presenta una concentrazione patologica. Non meno patologico è il sosteno assicurato, attraverso l'esonero contributivo (parziale o totale), al sistema produttivo (fiscalizzazione degli oneri sociali). Alla luce della crisi che si è abbattuta sui regimi delle tutele e, più in generale, sullo Stato sociale, sembrano necessarie alcune considerazioni: 1. È giunto il tempo che i pensionati di oggi prendano coscienza di vivere una condizione privilegialta rispetto a quella dei loro figli e dei loro nipoti, quando, a loro volta, saranno pensionati. 2. I commercianti e gli artigiani, le cui gestioni hanno raggiunto ora l'equilibrio economico, hanno un obbligo non solo morale verso i lavoratori dipendenti del settore privato che hanno reso possibile la garanzia di un reddito, sia pur minimo, agli attuali pensionati della loro categoria, i quali, tra l'altro, godono mediamente di una condizione generale di benessere superiore a quella di coloro che li hanno aiutati. Non è, infatti, un segreto per nessuno che la pensione per un lavoratore autonomo ritiratosi dall'attività non costituisca che un elemento integrativo - spesso non rilevante - del reddito di cui dispone. Il termine solidarietà risveglia di per sé echi soltanto positivi. Ciò non è sempre vero (può esistere, ed esiste, solidarietà anche all'interno di associazioni a delinquere, come, ad esempio, in quella camorristica, che si assume la tutela degli associati e delle loro famiglie contro i maggiori rischi). Il vincolo di solidarietà che legava le generazioni e le categorie all'interno del sistema previdenziale sta diventando un vincolo iniquo. È dunque necessario ripensarlo alla luce di nuovi criteri di giustizia e di uguaglianza. Ciò non vuol dire penalizzare nessuno. Da parte degli anziani, da parte di coloro cioè che hanno goduto dei benefici del vecchio vincolo, si richiede, però, di pensare in modo non corporativo, ponendosi il problema di nuove compatibilità, acquisendo, nelle loro valutazioni e rivendicazioni, categorie generali nuove di comprensione della realtà sociale. Questa esigenza è tanto più necessaria qualora si pensi al nuovo posto che occupa l'anziano nella nostra società. L'invecchiamento della popolazione si traduce nel ribaltamento della tradizionale piramide delle età. Un tempo il lato più lungo del triangolo era collocato in basso e rappresentava la popolazione in età giovanile. Ora il lato più lungo è collocato in alto e rappresenta le età avanzate. Prima il vertice era costituito dagli anziani; oggi dai giovani. Prima, cioè, a pochi vecchi corrispondevano molti giovani e molti adulti; ora a molti vecchi corrisponde un numero inferiore e decrescente di giovani e di adulti. Da questa nuova conformazione della società derivano anche conseguenze importanti sul piano economico e del potere. Innanzitutto, chiediamoci se è vero che gli anziani, i vecchi siano poveri. È senz'altro vero che la maggior parte delle pensioni erogate dall'Inps sono di
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