Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 17 - giugno 1991

Pupi di Acireale borato dalla speciale commissione della Camera presieduta da Nino Cristofori, fino a quelli messi a punto da una serie di ministri del lavoro (De Michelis, Formica, Donat Cattin), le regole del gioco sono state escluse per i trattamenti di coloro che nel paese occupano posizioni di ogni tipo di potere (a partire dai parlamentari per passare ai magistrati, dai dirigenti di azienda,. dai giornalisti, dai medici, dai piloti, per giungere agli attori, ai cantanti ed ai calciatori), limitandosi così ai regimi più «bassi» dei lavoratori dipendenti il disegno di unificazione. Su questa tendenza razzista si è inserita, assumendo negli anni più recenti l'aspetto di una ulteriore e più grave minaccia, quella che viene ritenuta la vera e unica istanza riformista e cioè l'equilibrio di gestione del solo fondo pensioni lavoratori dipendenti. Da realizzare secondo i dettati ormai acquisiti in documenti del Parlamento e del Governo con fortissimi tagli delle prestazioni di quel solo fondo che, occorre ricordarlo, oltre a raccogliere il 70% dei lavoratori dipendenti costituisce in assoluto il trattamento meno elevato e meno costoso. In questa operazione al massacro si sta distinguendo il Ministro del tesoro con un recente lavoro della ragioneria generale dello Stato che proietta al 2025 le prospettive del fondo pensioni {)Jt BIANCO l.Xll,ROSSO 1111 #019 lavoratori dipendenti. Con una serie di conclusioni, che lasciando esterrefatti anche i più tiepidi difensori del regime generale obbligatorio. Su queste basi la futura vicenda pensionistica potrebb~ diventare drammatica. La Cisl non rinuncia alle proprie idee e a proposte da anni formulate e poi aggiornate che coniugano il discorso della equità con quello dell'irrinunciabile principio dell'equilibrio del sistema. Solo su queste basi è possibile realizzare un accordo rinunciando ad una politica di mera compressione che i lavoratori non sono disposti a farsi imporre. Equità, fantasia e innovazione sono alla base di queste proposte anche con novità di avanguardia che il nostro Paese dovrebbe adottare. Tra queste novità rientrano certamente l'adeguamento delle regole pensionistiche ai cambiamenti culturali, sociali e del mercato del lavoro. Penso a forme di pensionamento graduale flessibili; alla inclusione di periodi sabatici nell'arco della vita lavorativa e periodi consistenti di formazione e di aggiornamento culturale-professionale con relativo prolungamento dell'età pensionabile, penso a norme che disincentivano il lavoro nero che con le norme attuali è spesso una scelta obbligata, oltre a norme che non frenino la mobilità del lavoro a tutto campo. Le motivazioni di una seria riforma derivano da ragioni di equità, economicità, funzionalità. Per questo il futuro ordinamento deve fondarsi su tre pilastri: 1. l'assegno sociale per una integrazione modulare ai redditi familiari insufficienti a carico della fiscalità generale; 2. la previdenza obbligatoria depurata dalle commistioni assistenziali, con regole uguale per tutti, con la sola eccezione - da definire - dei lavori usuranti; 3. previdenza complementare a capitalizzazione da istituire attraverso fondi categoriali contrattati dal sindacato che puntino alla diffusione di una nuova cultura del risparmio previdenziale con conseguenze operative fin dal primo ingresso al lavoro. In ogni caso - rompendo una tendenza alla politica di breve periodo - sul fronte della politica previdenziale occorre operare per il medio e il lungo periodo. I cambiamenti demografici e culturali non saranno risolti coi tagli ne con una dilatazione senza limiti dei contributi. Si pone ormai la necessità di grandi e radicali innovazioni nella gerarchizzazione della spesa statale. Quando parliamo di riforme intendiamo cambiamenti profondi e veri e non la somma del vecchio, con tutti i diritti acquisiti con qualche elemento di nuovo che finisce con l'essere contraddittorio e stridente. Per questo le riforme vere sono difficili e i riformatori rari, rarissimi.

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