{)JJ, BIANCO ~li.BOSSO iiiiiilid Cgil: nonostante tutto a Congresso per l'unità di Ottaviano Del Turco Dopo una lunga e travagliata fase, iniziata con il «dissolvimento» della componente comunista, il congresso della Cgil ha preso il via con lo svolgimento delle assemblee di base. In virtù di questa premessa, per la prima volta nella storia della Cgil il dibattito si svolge su mozioni contrapposte, con una articolazione di posizioni che ha prodotto molte novità ed anche qualche complicazione nelle modalità di svolgimento della discussione e delle votazioni. Non c'è dubbio che per migliaia di iscritti e militanti sarà un congresso difficile; in effetti è in gioco oltreché la definizione di una strategia una identità per l'organizzazione, che coinvolge le esperienze di vita di molti suoi iscritti. Il «dissolvimento» comunista ha rimosso un principio costitutivo della Cgil che non attiene solo al metodo di governo interno e dei rapporti tra le componenti tradizionali. La conseguenza di questa rimozione è data dalla formazione di una minoranza nella quale si sta consolidando la posizione di coloro che nella Cgil non vogliono rinunciare ad una identità politica, e quindi ripropongono una strategia di valori e di azioni che a quella si ispira. Una minoranza che si configura come un fronte del rifiuto, una coalizione di forze accomunate da ciò che temono e da ciò che non vogliono, dalla incapacità di ammettere una esigenza di cambiamento e di evoluzione dei propri schemi di analisi della realtà, che non rinuncia alle suggestioni di un modello perduto. In queste condizioni il confronto congressuale è difficile, duro e, spesso, improduttivo di uno scambio critico tra maggioranza e minoranza. Il compito di ridefinire una identità e una strategia di valori, principi e regole per la Cgil spetta quindi a coloro che si riconoscono nelle tesi di maggioranza. Una maggioranza aperta che nel corso dell'esperienza congressuale dovrà consolidarsi sulle «motivazioni» delle proprie scelte programmatiche. Forse è il caso di tornare a riproporre i passaggi obbligati, i punti fermi di una strategia sindacale che alcuni di noi hanno definito riformista: il mercato, l'autonomia dell'impresa, i rapporti tra sindacato ed istituzioni, il ruolo dello Stato nell'economia e nella società civile, l'unità sindacale e la democrazia sindacale. Su questi elementi ci sono aspetti che potremmo definire non suscettibili di compromesso. È su questi punti fermi o valori che si misura il superamento di un retaggio culturale che nel passato ha spesso fatto vivere l'esperienza sindacale come un contro-progetto, invece dell'approdo ad una concezione del conflitto entro i limiti e gli orizzonti di una società aperta. Definire questa prospettiva strategica come una scelta moderata, è una caricatura di comodo che rischia di far degradare e immiserire il dibattito congressuale; un dibattito nel quale maggioranza e minoranza non dovrebbero perdere il rispetto di sé stesse. Comunque il senso di marcia, nonostante le difficoltà, si viene comunque definendo, come dimostrano i primi risultati congressuali. C'è un significato nelle esperienze di questi ultimi tempi, un senso nel nostro agire quotidiano, da cui emerge una direzione di marcia e un orientamento strategico. È da questo orientamento che si manifesta la consapevolezza sempre più netta che l'azione del sindacato ha un vincolo di compatibilità interna (ad esempio tra pubblico e privato, tra attivi e pensionati, ... ) e un vincolo di compatibilità esterna con le politiche di bilancio (inflazione, fisco, spesa pubblica, ... ). Questi vincoli debbono tradursi in coerenze
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