Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 17 - giugno 1991

del reddito» fra le classi e le persone, affinché - rendendo meno distanti dal punto di vista economico gli uomini - la società diventi più armoniosa, più laboriosa, più produttiva, e anche più civile. È questa la vera funzione economica, sociale ed anche giuridica della «solidarietà», che non va assolutamente confusa con l'assistenzialismo, il quale, nel nostro ambiente politico, è di pura marca clientelare. Una sana ed ordinata «solidarietà» si basa sul senso di responsabilità necessario a delineare e definire correttamente i casi di bisogno, i casi cioè meritevoli di tutela solidaristica. In que- .PJI. 81..\l\CO '-XII.HOSSO ■ it•#hld sto contesto si può comprendere anche la lotta alle evasioni fiscali e contributive, per una equa distribuzione del relativo carico fra i contribuenti. Un altro criterio basilare della «solidarietà» è la selettività. Tenuto conto della limitatezza dei mezzi, occorre saper selezionare i campi di intervento per stabilirne le priorità. Il condizionamento di una ordinata «solidarietà» dai suddetti criteri fu rilevata, a suo tempo, da Lazzati, il quale faceva distinzione fra la solidarietà dello «stato sociale» e il concetto di «assistenza»: «Lo stato sociale è quello che trova la propria espressione nell'articolo 2 della Costituzione: riconoscimento e garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo e richiesta di adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, sociale. È, cioè, un intreccio di diritti e di doveri che non può includere un concetto troppo generalizzato di assistenza nel quale va perduto il vero senso dei diritti e dei doveri di cui parla il testo costituzionale». Pertanto, la «solidarietà», a differenza dell'assistenza, ha una sua base scientifica, oltreché etica, economica e giuridica, che la pone al centro del nostro sistema di vita sociale, economico e civile. (F.P.C.) Lineamentidi riforma: il sistema <<misto>> 1. Unificazione delle normative Ciò che più colpisce nel sistema previdenziale del nostro paese è la pluralità delle gestioni e il profondo divario esistente tra il settore pubblico e il settore privato. Le gestioni pensionistiche sono circa cinquanta e ognuna è regolata da norme particolari, spesso molto diverse tra loro. In una geografia tanto frastagliata si annidano discriminazioni e privilegi che hanno reso finora difficile non soltanto l'avvio di ogni tentativo di riforma ma anche accertamento del1'entità della spesa e la sua articolazione fino ad impedire la definizione di previsioni corrette ed attendibili. Qualsiasi progetto di riforma non può non farsi carico di questa situazione, tenendo conto che: a. per un sistema pubblico di previdenza non sono concepibili norme diversificate sulla base delle categorie e comparti di lavoro perché mettono in discussione l'uguaglianza dei cittadini di Francesco Paolo Conte (anche in quanto contribuenti) di fronte allo Stato; b. con l'entrata in vigore, nel 1993, del regime di libera circolazione delle persone e dei beni, la stessa tenuta del nostro sistema economico esigerà l'armonizzazione dei nostri regimi di tutela con quelli in vigore negli altri paesi europei e, q\lindi, a maggior ragione, di quelli attualmente esistenti in Italia. Motivi ideali e pratici, dunque, non solo consigliano, ma impongono l'unificazione delle normative per tutti i lavoratori del settore pubblico e del settore privato mediante l'estensione delle norme del «regime generale» dei lavoratori dipendenti a tutti i regimi speciali oggi esistenti. Non è possibile giustificare, per ragioni di coscienza e del vivere civile, che la previdenza pubblica, basata necessariamente sulla solidarietà, preveda - a parità di condizioni di lavoro - disparità di contribuzione e di prestazioni fra lavoratori appartenenti a settori e comparti diversi. Perciò: regole del giuoco uguali per tutti. Si potrebbe anche pensare di comprendere, come è stato da qualche parte (Cnel) adombrato, nella unificazione delle normative, oltre al lavoro dipendente, anche il lavoro autonomo. Tuttavia, considerando la diversità delle fonti di reddito, sarebbe opportuno tenere distinti i due campi, lasciando che quello del lavoro dipendente si organizzi in base ad una propria normativa unica, cosa che potrebbe essere fatta, con altra disciplina, per il lavoro autonomo. 2. Il «sistema misto» a. Il regime «a ripartizione». Quando, nell'immediato dopoguerra, il regime previdenziale organizzato nell'lnps col sistema della «capitalizzazione», per far fronte ai problemi posti dalla svalutazione della moneta e dall'estensione della copertura pensionistica, dovette essere necessariamente riorganizzato con l'adozione del sistema della

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==