Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 17 - giugno 1991

i)JJ, BIAI\CO '-Xli.ROSSO lih•ki)Aiiil evoca sempre, con qualche brivido di preoccupazione, il «decisionismo», la «democrazia governante». In realtà il problema vero, assai più delle decisioni che vengono prese, sono le decisioni che non si possono prendere. Nell'ambito degli attuali equilibri, le forze politiche di maggioranza, più che esprimere solidarietà e convergenza per realizzare un progetto, o anche soltanto un proposito, sembrano più inclini a paralizzarsi, a neutralizzarsi reciprocamente. Si supplisce così alla mancanza di una strategia comune inasprendo i toni della polemica. Ma una polemica più aspra del necessario se resta priva di una prospettiva, di uno sbocco, acuisce soltanto le contrapposizioni, l'impotenza e la paralisi del sistema pubblico. Il che porta al logoramento del rapporto società-istituzioni. Porta ad un diffuso disamore, ad un crescente rifiuto della politica. Perché essa perde ogni significato percettibile ed appare sempre più l'espressione di calcoli elettorali e di potere anziché dell'esigenza di risanamento, di equità, di giustizia. In queste condizioni nessuno dei problemi fondamentali del paese può essere seriamente affrontato. Appare quindi piuttosto irrealistica anche l'idea consolatoria con cui si è giustificata la deludente conclusione dell'ultima crisi di governo di porre mano, innanzi tutto, al «risanamento» della finanza pubblica per poi «rigenerare» le istituzioni politiche. Si tratta di un prima ed un dopo che non può avere fondamento. Quella finanziaria e quella istituzionale non sono due crisi distinte, ma due facce della stessa medaglia. Del resto, sulla base di un'esperienza ormai quasi cinquantennale, non si vede assolutamente come il nuovo governo, con gli attuali meccanismi di spesa e l'attuale modo di formazione delle decisioni possa (oltretutto in un anno elettorale) fare qualcosa di serio per risanare la finanza pubblica. A questo riguardo vengono in evidenza anche i limiti, l'inadeguatezza delle norme finanziare contenute nella Costituzione. Il modello sottinteso all'articolo 81 della Costituzione (più tassazione che indebitamento) non ha mai funzionato molto. Ma ora è degenerato a tal punto che l'espansione abnorme del deficit produce un deficit di democrazia. Non perché comporti una riduzione delle libertà, ma perché determina una abnorme diminuzione della responsabilità politica. Un conto infatti è finanziare la spesa pubblica con tasse pagate in proporzione da tutti i cittadini e perciò indotti a controllare ed a chiedere conto della quantità e della qualità della spesa. Un altro conto è finanziare la spesa con l'indebitamento. Con lo Stato che chiede in prestito ai cittadini i soldi che non è in grado, o non vuole, prelevare con le tasse. Questa degenerazione è arrivata al punto che le tasse non bastano nemmeno ad ammortizzare il debito. Che viene così incrementato dagli interessi. Senza contare che le procedure di spesa sono talmente flessibili, talmente adattabili, che consentono a chi governa oggi di impegnarsi anche per chi governerà domani. A chi non governa anche per chi governa. Per ristabilire il primato della tassazione sulla spesa (che era nelle intenzioni dei Padri Costituenti) bisognerebbe almeno prevedere un limite all'indebitamento, unitamente al trasferimento ai governi locali di quote adeguate del potere di tassazione. Nessuno riesce però a vedere come in questo residuo di legislatura simili problemi possano trovare una soluzione. Nella migliore delle ipotesi il governo in carica non è in grado di fare altro che ricorrere affannosamente il deficit pubblico. La manovra economica di primavera è alle spalle, ma per sistemare i conti si dovranno adottare altri aggiustamenti in corso d'anno. Non a caso si parla di una fase due entro l'estate. Subito dopo si dovrà discutere della finanziaria del '92 per la quale il buco annunciato è, più o meno, di 50.000 miliardi da coprire, come al solito, con nuove entrate e tagli di spesa. La situazione è così deteriorata che cambiare il corso delle cose comporta un impegno non facile e non breve. Può essere perciò cattiva abitudine quella di chi immagina, in un modo o nell'altro, un'ora od un gesto risolutivi. Ma il meno che si può dire è che un governo che per durare accantona i problemi invece di affrontarli non serve a molto. • • •

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