i)JJ, BIANCO '-Xlt llOSSO iii•iil•Q scono dalla prassi concreta nelle situazioni storiche, Giovanni Paolo II afferma i limiti essenziali della proprietà dei mezzi di produzione come tale, quindi sia privata che di stato: «La proprietà dei mezzi di produzione sia in campo industriale che agricolo è giusta e legittima, se serve ad un lavoro utile, diventa invece illegittima quando non viene valorizzata o serve ad impedire il lavoro di altri, per ottenere un guadagno che non nasce dall'espansione globale del lavoro e della ricchezza sociale, ma piuttosto dalla loro compressione, dall'illecito sfruttamento, dalla speculazione e dalla rottura della solidarietà nel mondo del lavoro. Una taleproprietà non ha nessuna giustificazione e costituisce un abuso al cospetto di Dio e degli uomini» (n. 43). Non è una ricetta, ma un principio forte, e il papa non esita a scendere subito ancora più in concreto, quasi ricollegandosi al testo chiave del libro del Genesi sul dovere del lavoro: «L'obbligo di guadagnare il pane col sudore dellafronte suppone, al tempo stesso, un diritto. Una società in cui questo diritto sia sistematicamente negato, in cui le misure di politica economica non consentano a1lavoratori di raggiungere livelli soddisfacenti di occupazione, non può conseguire né la sua legittimazione etica, né la pace sociale». È una affermazione che mette chiaramente in questione parecchie cose, del nostro stesso sistema sociale: nel pensiero della Chiesa di Sugherai - Calangianus, Sassari Vinattiere - Buonconvento, Toscana papa Wojtyla la proprietà privata si giustifica solo se viene dal lavoro e se si pone al servizio del lavoro. Si può affermare che l'istanza centrale di ogni umanesimo sociale, e di ogni socialismo umanista, non può che trovare estremamente congeniale questa affermazione, e questo contesto di rispetto della autonomia nei rispettivi ambiti delle realtà umane, sociali, politiche e religiose. Resta il fatto che la condanna appare netta, e dura. Di qui, forse, i commenti non entusiasti e le paure, da noi e nei paesi soprattutto anglosassoni, degli ambienti imprenditoriali e finanziari. Il riconoscimento della economia di impresa appare, a molti capitalisti, troppo timido e troppo pericolosamente limitato, ai loro occhi, da istanze etiche e da «ipoteche sociali». Si avverte chiaramente che la Chiesa di Giovanni Paolo II non si arrende al sistema capitalista, che pur pare trionfare nel mondo intero. Forse qualcuno lo avrebbe voluto: un cappellano che benedice i vincitori fa sempre comodo. Ma chi pensava così aveva sbagliato calcoli: dopo la fine del socialismo reale, e della ideologia del marxismo leninismo, con o senza trattino, non si tratta di lasciare campo aperto al liberalismo selvaggio, anche se a qualcuno, dentro e fuori dei confini della Chiesa, avrebbe fatto piacere. E' la conferma della difesa dell'uomo, che appare una delle costanti di questo pontifica-
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