.{)jJ, BIANCO l.XII.HOSSO iiiiii•lb fondamentalismi, nazionalismi-, che corrono i popoli che si sono liberati dal suo giogo. E invece il discorso del socialismo resta aperto. Il papa sa benissimo che ridurlo alla versione sovietica e leninista sarebbe sbagliato e ingiusto, e che la storia del Movimento operaio europeo ha detto ben altro, e ben oltre le frontiere dell'impero sovietico. Egli parla perciò, al n. 20, di «diverse varianti del socialismo», e presenta ampiamente le istanze di un umanesimo sociale che non consente di lasciare campo libero alla logica disumana del mercato e del capitalismo liberale, i cui tratti di morte e di sfruttamento sono sotto gli occhi di tutti, e non solo nei paesi del Terzo Mondo, ma anche in quelli cosiddetti sviluppati. Era del resto un tema già toccato fino dalla Mater et Magistra e dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII, che parlava della giusta «socializzazione» dell'economia, e che animava dal profondo le prospettive umanistiche della Populorun Progressio di Paolo VI, che considerava con energia i guasti del sottosviluppo dei popoli del Terzo Mondo, imposto dalle distorsioni dei consumi e degli sprechi del mondo sviluppato, con ripercussioni, del resto, anche dentro gli stessi paesi detti sviluppati. 4 - Limiti del capitalismo e ruolo del riformismo. In una recente intervista a «Famiglia cristiana» (n. 20/1991), monsignor Rembert Weakland, arcivescovo di Milwaukee, negli Usa, afferma una verità che certamente il papa ha tenuto presente nei passi in cui ha messo in chiaro i limiti del sistema capitalista come oggi è nei fatti: «La povertà qui da noi è incredibile. Trentasette milioni di persone sono senza assistenza sanitaria e solo il tre per cento delle donne che lavorano ha diritto all'assistenza per maternità». E' un tema. questo dei guasti e dei limiti del capitalismo, che percorre tutto il testo della «Centesimus Annus», al punto che molti hanno creduto di poter affermare che il suo interrogativo centrale è quello che Giovanni Paolo II si pone al n. 42: «Si può forse dire che, dopo il fallimento del comunismo, il sistema sociale vincente sia il capitalismo, e che verso di esso vadano indirizzati gli sforzi dei Paesi che cercano di ricostruire la loro economia e la loro società?E' forse questo il modello che bisogna proporre ai Paesi del Terzo Mondo, che cercano la via del vero progresso economico e civile?» Intarsiatrice- Treviglio, Bergamo La risposta sicurissima di Giovanni Paolo II è no. Il capitalismo così come si presenta oggi, sul piano mondiale, non può essere la soluzione dei problemi sociali. La condanna e «il f allimento del comunismo», - e va notato che qui Giovanni Paolo II non parla di fallimento del socialismo-, non può far dimenticare la realtà dell'oppressione di tanta parte dell'umanità nel regno del capitalismo reale. Perciò è forte e continua, nel testo, l'affermazione del dovere di correggere il capitalismo, e Giovanni Paolo II non esita a ricordare i meriti e «l'azione del Movimento operaio», menzionando la sua «vasta attività sindacale, riformista, lontana dalle nebbie della ideologia e più vicina ai bisogni quotidiani dei lavoratori» (n.16). E' il riconoscimento esplicito dell'ala riformista del Movimento operaio, che storicamente non può che indicare il filone della socialdemocrazia europea, e dei diversi socialismi umanistici timidamente concepiti in diverse parti del Terzo Mondo, confermando la legittimazione delle socializzazioni, già fatta da Giovanni XXIII, e rinnovata in seguito da tutti i documenti sociali della Chiesa. In sostanza si tratta della accettazione piena di una visione non ideologicamente integralista, in un senso o nell'altro, dell'economia, che può a buon diritto definirsi socialriformista, e che disegna i rapporti tra pro-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==