{)11,BIANCO 0(11, HOSSO iiiiiil•d Difficile negare, a cento anni di distanza, che su questi punti «il signor Pecci», l'anziano Leone XIII, avesse ragione, e che il secolo che è trascorso abbia confermato i timori e le aperture di quella enciclica. Il fallimento del marxismo rivoluzionario, l'inefficacia della lotta di classe violenta, i danni del capitalismo assoluto e depredatore del Terzo Mondo, la necessità delle riforme sociali sono sotto gli occhi di tutti. Da allora, in un secolo, per la Chiesa c'è un seguito di interventi di dottrina sociale, e praticamente tutti i papi hanno portato il loro contributo ad essa. Pio XI con la «Quadragesimo Anno», del 1931; Pio XII con il discorso commemorativo del 1951; papa Giovanni con la «Mater et Magistra», del 1961, e con la «Pacem in Terris», del 1963; Paolo VI con la «Populorum Progressio», del 1967, e con la «Octogesima Adveniens», del 1971, e infine Giovanni Paolo II, con la «Laborem Exercens», del 1981, e con la «Sollicitudo Rei Socialis», del 1987. Tutti i papi hanno portato il loro contributo, con diversi toni, anche in rapporto con le novità della storia. E questa storia è stata piena di cambiamenti anche sul versante del movimento operaio e delle sue formazioni storiche. Il Turati del 1891 non è certamente e in tutto lo stesso del 1921, a Livorno, e degli anni successivi, e nel 1891non avrebbe mai immaginato che un suo successore, segretario generale del suo partito, Pietro Nenni, sarebbe un giorno andato fino a New York, all'Assemblea dell'Onu, il 19 febbraio 1965, per fare un discorso tutto dedicato ad uno scritto sociale di un successore del «signor Pecci», Angelo Giuseppe Roncalli, Giovanni XXIII, la «Pacem in Terris». «Centesimus Annus»: spunti per la lettura Ho voluto introdurre con le osservazioni storiche i seguenti · «spunti di lettura» della «Centesimus Annus». Per ragionare seriamente sul presente e sul futuro non è mai il caso di dimenticare le lezioni del passato. Mentre scrivo, naturalmente, ho chiaro il diluvio di commenti che ha immediatamente inondato i media non solo italiani, ma non è il caso di richiamarli. Ciò che segue vorrebbe essere solo un incoraggiamento alla lettura diretta. Il testo è nelle librerie. Ricordo che l'hanno pubblicata integralmente, oltre l'Osservatore Romano, anche Avvenire e A vanti del 3 maggio, e che «Famiglia Cristiana» (n. 21, del 22/5/91), con il testo ha pubblicato anche contributi storici e tematici. 1 - Documento religioso, non politico. Credo che sia essenziale ricordare che l'enciclica è quello che è: una lettera del papa ai vescovi, ai fedeli, e in questo caso anche agli uomini di buona volontà. Essa, perciò, non è un testo di economia, non è un programma politico, non è un'analisi sociologica dei mali della società mondiale o un suggerimento dei rimedi. E' una cosa che non va mai dimenticata. Quasi per dar ragione, almeno in questo, a Filippo Turati, il papa scrive proprio ed esclusivamente in quanto «papa della Chiesa». Per tre o quattro volte, nel testo, ripete che non vuole e non può dare soluzioni pratiche ai problemi economici, politici e sociali che pure enumera. Non è compito della Chiesa. Lo aveva già affermato Paolo VI, nella «Octogesima Adveniens», e Giovanni Paolo II lo ribadisce con forza: «La Chiesa non ha modelli da proporre. I modelli reali e veramente efficaci possono nascere solo nel quadro delle diverse situazioni storiche, grazie allo sforzo di tutti i responsabili, che affrontano i problemi concreti in tutti i loro aspetti sociali, politici e culturali che si intrecciano tra loro» (n.43). Ha torto, allora, chi pensa che con questa enciclica si voglia affermare una «egemonia» politica. Qualcuno lo ha scritto apertamente, ma forse ha il vizio di confondere i propri fallimenti con quelli del mondo intero, e di forzare illegittimamente il testo e le intenzioni del papa. Egli non vuole essere il «principe» della fine del secondo Millennio, ma semplicemente quello che è, proprio come scriveva Turati. Perciò al n. 54 ha fatto una affermazione molto chiara, per chi vuole capire: «La dottrina sociale ha di per sé il valore di uno strumento di evangelizzazione.. .In questa luce, e solo in questa luce, si occupa del resto». 2 - Chiesa, integralismo, vera laicità. Con questa premessa si capisce che ha torto anche chi ha visto nella «Centesimus Annus» il difetto di ribadire l'assolutezza della verità religiosa di cui la Chiesa cattolica si ritiene, nella fede, depositaria. Non è integralismo, questo, ma coscienza di fede della propria missione evangelizzatrice. Una chiesa che non confessa che solo in Gesù Cristo c'è salvezza,
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