Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 17 - giugno 1991

i.)JJ, BIANCO l.XltHOSSO iii•iil•il poteva non scontrarsi con la condanna della Chiesa cattolica. Il risentimento di Turati contro la «Rerum Novarum» fu dunque forte: «È impossibile, - scrisse-, immaginare cosa più pretenziosamente vuota, più nulla e più inconcludente di quella non mai finita dissertazione, di quel mare di parole e di frasi, in cui la Sua sedicente Santità non isdegna di stemperare e diguazzare i tritumi delle idee più rancide, più sciocche e confuse che si ripetono contro il socialismo». L'Enciclica condannava davvero quel socialismo: era quello in cui i filoni rivoluzionari e anarchici erano ancora maggioritari, quello in cui ateismo, anticlericalismo, e anche violenza, erano «dogmi» indiscussi. Proprio il 1 maggio del 1891 a Roma, in piazza Santa Croce in Gerusalemme, le manifestazioni anarchico-socialiste avevano portato due morti e decine di feriti. Turati si diceva, criticando l'Enciclica, «antico e vero cristiano», ma era ancora ben lontano dai ripensamenti che trenta anni dopo lo condussero alla scelta contro la violenza e per le riforme, e che segnarono la «rottura» di Livorno e la nascita per reazione del Partito comunista italiano, massimalista e rivoluzionario, in opposizione radicale ad ogni riformismo. Qualcuno ha osservato che Turati scrisse quelle frasi prima di poter conoscere il testo della «Rerum Novarum». E' vero, ma difficilmente il giudizio sarebbe cambiato a lettura avvenuta, e del resto Turati non manifestò, in seguito, diverso avviso: allora l'opposizione di un socialista alla dottrina della Chiesa veniva da sé, naturalmente, e la storia non fa salti. Si può osservare, tuttavia, che molto è cambiato, nel mondo e anche nella Chiesa, se oggi a condannare la nuova enciclica, prima ancora di averla letta, non è stato un leader operaio, ma il presidente della Confindustria. E' un segno dei tempi. La storia non fa salti, e tuttavia magari lentamente cammina. Resta il fatto che allora, e per quei tempi, in mezzo a tanti passi che ancora rivelavano le chiusure e i pregiudizi di un ceto ecclesiastico che si sentiva minacciato da tante «cose nuove» di quel tempo, con un papato che da venti anni era prigioniero in Vaticano, dopo «l'usurpazione» di Porta Pia, la «Rerum Novarum» segnò un sostanziale cambiamento d'epoca. Provo a ridurre a quattro, fondamentali, le novità di quel documento. - La prima, che è costituita dallo stesso fatto dello scritto di Leone XIII, è il superamento di principio dell'anatema della Chiesa cattolica verso il mondo moderno. Essa non appariva più ferma alle condanne delle libertà moderne di Gregorio XVI, né al Sillabo di Pio IX, e neppure all'arroccamento anti-italiano degli anni '70 e '80 dell'ottocento. Fu in pratica anche l'ingresso ufficiale dei cattolici, come forza sociale, nella vita politica italiana. Nel bene e nel male ha cambiato la storia di questo paese. Per questo aspetto l'enciclica segna l'inizio della conciliazione della Chiesa cattolica con la modernità. Il compimento forse è ancora da venire. - La seconda novità è costituita dalla condanna del liberalismo assoluto, che produceva quella «condizione operaia»(16 ore di lavoro al giorno, salari da fame. sfruttamento dei minori, nessun rispetto per la salute degli operai, ecc.), e l'affermazione che la proprietà privata, pur essendo un diritto naturale, deve avere uno scopo sociale, e quindi non può dar luogo all'arbitrio dei ricchi sui poveri e dei padroni sugli operai. - La terza novità, conseguente, è che lo Stato, pur non dovendo essere padrone assoluto e unico di tutti i beni, come voleva il socialismo rivoluzionario di allora, non può restare assente e abbandonare gli operai alla dinamica dei rapporti di forza stabiliti dai padroni e dai ricchi. Esso deve intervenire a tutelarne i diritti. L'operaio deve, certo, lavorare per avere diritto al salario, che deve essere sufficiente ad assicurargli una vita degna, per lui e per la famiglia, ma «il lavoro non è una merce», e «non va dato per elemosina ciò che spetta per giustizia». - La quarta novità, nel contesto del tradizionale rifiuto della «lotta di classe violenta», condotta allora in nome della negazione dello stato (anarchia), della proprietà (collettivismo), e della religione (ateismo), fu davvero una novità clamorosa, e cioè l'affermazione del diritto degli operai a dif endersi sui luoghi di lavoro creando delle apposite associazioni riservate ad essi. Era la consacrazione ufficiale cattolica del sindacato, che aprì prospettive dai frutti che hanno attraversato l'intero secolo successivo.

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