i>Jl 81.\:\0) '-Xli.ROSSO iii iii i id I limiti e i pericoli del processo di depenalizzazione e di decarcerizzazione, introdotto dal nuovo codice di procedura penale minorile, non potevano non essere strettamente connessi alla generalizzata carenza dei servizi di assistenza del territorio, aspetto peraltro preventivamente denunciato come principale motivo di preoccupazione. Le nuove disposizioni normative hanno sicuramente il merito di aver rivoluzionato le modalità di intervento del sistema penale, rendendo in molti casi l'internamento in carcere come scelta residuale, dimostrando di privilegiare gli interessi del minore, titolare di diritti e di bisogni, assicurandogli il proseguimento del processo di formazione e di crescita. Tuttavia tale sistema diversificato di interventi dimostra di non poter funzionare, finché non supportato da adeguati momenti di sostegno e di presa in carico da parte di strutture preposte, significando così impunità, «perdonismo» e sostanziale abbandono per molti ragazzi cosiddetti «difficili». <<CentesimusAnnus>>: un passo avanti per tutti di Giovanni Gennari Introduzione: la «Rerum Novarum» e le sue novità. Era il maggio 1891, e il «signor Pecci», Leone XIII, era da ritenersi avvertito: «Sua Santità il signor Pecci mediti e rimediti pure, a sua posta, la questione sociale, ma non potrà mai venirci incontro con alcuna soluzione che abbia, per noi, qualsiasi valore di serietà. Fosse egli, nel cuor suo, socialista quanto Marx, ardente quanto Bakounine, non potrà che essere il papa della sua Chiesa». La riflessione fu scritta da Filippo Turati, a pochi giorni dalla pubblicazione della «Rerum Novarum», e liquidava così «il preteso socialismo papale», di cui qualcuno aveva parlato in previsione dell'enciclica, manifestando un atteggiamento di «delusione efondamentale dissenso». Il socialismo di allora si sentiva enormemente più avanti, nel progresso, nell'umanesimo, nella moralità, rispetto alle «timide» aperture dell'enciclica che pure era tutta dedicata alla «condizione degli operai». Eppure quello scritto, datato 15 maggio 1891, in cui Leone XIII si apriva alla storia, dopo l'isolamento seguente a Porta Pia, e condannava con forza lo sfruttamento operaio, fu un vero terremoto ideologico, e sociale. Nel «Diario di un curato di campagna», di Berna- - - - - - 12 nos, il vecchio parroco diceva appunto al giovane prete che quello, che a distanza di 50 anni appariva un documento «normale», in realtà fu un «vero terremoto». Furono in molti a pensare, allora, che davvero «il papa era diventato socialista», e le cronache testimoniano che in molti conventi si indissero pubbliche preghiere «per la conversione» del «Signor Pecci», che aveva abbandonato l'alleanza secolare con i troni e con i potenti, per mettersi a riflettere, appunto, sulla «triste condizione degli operai», e a condannare non solo «il socialismo anarchico», come ovvio, ma anche «lo sfruttamento degli operai, l'avidità dei potenti e dei padroni, l'emarginazione dei poveri». E invece «il signor Pecci» non era diventato socialista. In quegli anni, nonostante certe aperture cattoliche al «socialismo cristiano», che era piuttosto un «cristianesimo sociale» ancora molto elitario, e certi testi di Proudhon, il discorso non si poneva davvero in questi termini. È vero che a Torino, tre mesi prima della «Rerum Novarum», era uscito il volume di Francesco Saverio Nitti, «Il socialismo cattolico», ma allora la parola «socialismo» aveva un significato storico molto preciso, che non
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