ATTUALITÀ morto sarebbe divenuto, e potrebbe subito diventare, un martire e, quindi, automaticamente, un eroe tale da infiammare, proprio perché "caduto sul campo dell'onore, combattendo contro gli infedeli'', le masse, arabe e non, la cui frustrazione viene alimentata, se non esasperata, giorno dopo giorno, dal "messaggio" integralista. Al contrario, un Saddam dimezzato, probabilmente destinato a sfinirsi nel disastro di se stesso, e magari ostaggio del suo partito, il Baas, potrebbe perdere alla fine, il ruolo di paladino del mondo arabo per scadere a quello di un mi/es gloriosus di periferia. Saddam o non Saddam, rimane il problema della frustrazione araba. Che ha un nome: Palestina. Può sembrare incredibile a chi, come noi, vede la questione palestinese in termini puramente geopolitici che le masse arabe ne abbiano fatto una vera e propria malattia. Il fatto è che per gli arabi (attenzione: non per i regimi arabi che si sono sempre e soltanto limitati a strumentalizzare la disgrazia dei palestinesi) la Palestina occupata è una ferita. Insopportabile. Questo perché gli arabi vedono quell'annosa questione in termini etici. * * * Sappiamo che gli Stati Uniti sono già all'opera per sistemare il "dopo". Sappiamo che han deciso di stabilire un "nuovo ordine": a noi basterebbe che mettessero un po' d'ordine in Medio Oriente. Sarebbe già molto. Ci riusciranno i nostri eroi? Al riguardo esistono due scuole di pensiero. Una vuole che Bush abbia infine accettato i criteri di Baker, un uomo che il mondo arabo lo conosce abbastanza (è un petroliere texano) e che ha sempre giudicato "irritante e miope" la politica della destra israeliana al potere in Gerusalemme. Baker certamente non vuole che Israele venga mal ripagato per aver tenuto i nervi saldi di fronte alla omicida provocazione irachena. Ma si rifiuta di accettare il disegno "mistico-militare" di Shamir, ch'è, poi, quello dei sionisti revisionisti (Jabotinsky, Abraham Stern). Codesto disegno ha nome Eretz Israel, cioè il Grande Israele che dovrebbe incorporare la Giudea e la Samaria, vale a dire i territori occupati. L'acquisizione dei territori darebbe ragione agli integralisti islamici secondo i quali gli Stati Uniti hanno combattuto una "guerra coloniale" al solo scopo di fare di Israele la potenza egemone del Medio Oriente. Niente Eretz /srael, dunque, ma una Iscrizione devozionale, Egitto XVII secolo "soluzione dignitosa e ragionevole" della tragedia palestinese. La seconda scuola di pensiero vuole, invece, che nell'idea che gli Stati Uniti si son fatti de! "nuovo ordine" ci sia un punto fermo: premiare Israele. Come? Evitando che il "dopo" porti al momento della verità sui territori occupati. E questo sostenendo sino in fondo, con ben dosati bluff diplomatici, il governo Shamir (anche penalizzando la sinistra laburista che presumiamo essere più ragionevole) nel suo rifiuto ostinato e arrogante d'una conferenza di pace. Nell'ipotesi dannata che trionfasse la seconda scuola di pensiero, vorrà dire che invece di ordine avremo un ennesimo sconquasso che accrescerà il disordine. È stato più volte ricordato in queste settimane che tutte le guerre combattute nel Vicino Levante in quest'ultimo mezzo secolo hanno prodotto rivolgimenti profondi. La guerra del 1948 aprì la strada alla rivoluzione nasseriana. Quella del 1956provocò l'espansionismo ideologico del nasserismo determinando, fra l'altro, la sanguinosa rovina della monarchia (filoinglese) irachena. Dopo la "guerra dei sei giorni", il colonnello Gheddafi annullò la monarchia di Idriss il Senusso. Last but not least, la guerra del Kippur determinò quello shock petrolifero che doveva portare alla crisi iraniana e alla tragedia libanese, a sua volta intimamente legata, quest'ultima, alla tragedia palestinese. Se a questa Guerra del Golfo, breve ma sconvolgente, non dovesse seguire una conferenza di pace o quella più praticabile, forse, "Helsinki 2" postulata da De Michelis, ci sa-
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