Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 15/16 - apr./mag. 1991

che crescevano tutt'intorno. Cosi mio padre non aveva paura che il proprietario del palazzo potesse scoprire il suo angoletto e farglielo lasciare. Il riccone non abbandonava mai il suo palazzo. Ci ensavano i servi a portargli tutto quello che gli serviva, ed erano d'accordo con mio padre a tenere segreta la sua presenza, a condizione che in cambio aggiustasse loro le scarpe. Cosi mio padre andava avanti nel suo lavoro, e non aveva paura. La gente si accorgeva che sapeva riparare cosi bene le scarpe da farle sembrare nuove, e gliene portava sempre di più. Lui lavorava tutto il giorno, senza smettere mai, e metà della nott~. E ic>!L BIANCO lXILROS.SO ■fruiihiiiii allora diceva a mia Grlfonè, bronzo, Cairo, Egitto, Xli secolo madre: "Domani i bambini vanno a scuola". E mia madre rispondeva: "Allora ti potrai riposare un po"'. Il ragazzino tornò al suo posto, e i compagni tutti zitti. Allora Mohsen domandò: "Perché non gli battete le mani? Non ·vi è piaciuta questa storia?". "Vogliamo sentire il resto ... " "C'è altro nella storia?" "Un mese o due fa mio padre aveva cosi tanto lavoro accumulato che non tornava neanche più a casa. Mia madre ci diceva che lavorava giorno e notte e non poteva lasciare la bottega. Non aveva tempo di uscire. Nel frattempo il riccone sedeva sul balcone del suo palazzo giorno e notte mangiando banane, arance, mandorle e noci, e buttava via bucce e scorze. Le gettava dal suo balcone giù per la collina. Una mattina la scarpata della collina si ritrovò cosi coperta dalle bucce e dalle scorze che i servi non riuscirono a trovarela scatola dove stava mio padere.Miamadre diceche eracosi assortonel lavoroda non accorgersidell'immondiziache si accumulava sul tettodellasuabottega. Lavoravaproprio come aveva fatto sempre.Probabilmentesta ancoraseduto li, al suoposto, a ripararele scarpeperfinirle in tempoe tornarea casa. Ma io penso che sia morto li". Gli scolaribatteronole manie il ragazzinotornòcalmoal suo posto. Sessantaocchi scintillanti, un guizzo, ma Mohsen... Mohsenportò il ragazzino in direzione e mentrecamminava gli chiese: "Pensi davvero che tuo padre sia morto?". "Mio padrenon muore.L'ho detto tanto per concluderela storia, se no nonsarebbe finita mai.Arrival'estate, in un paio di mesi, e il sole asciugherà il mucchio di immondizie;alloranon saranno più tanto pesanti e mio padre potrà rimuoverle dal tetto della bottega e tornare a casa". Arrivati che furono in direzione, Mohsen disse: "Ho un genio in classe. È incredibile. Gli faccia raccontare la storia di suo padre''. "Che cos'è questa storia?" ''La sua bottega era molto piccola e lui era molto bravo. Un· giorno la sua fama raggiunse il proprietario del palazzo che sovrastava il bugigattolo. Questi gli inviò tutte le scarpe vecchie che aveva da riparare e far tornare nuove. I servi si misero a trasportare le scarpe alla bottega di mio padre, lavorarono due intere giornate e quando ebbero finito, mio padre era completamente soffocato sotto l'enorme pila e non c'era neppure abbastanza spazio, nella bottega, per tutte le scarpe ... " Il direttore infilò il pollice nel taschino del gilè, rifletté un momento, poi diss·e: "Questo ragazzino è pazzo. Faremo bene a mandarlo in un'altra scuola". Il bambino osservò: "Non sono matto. Andate dal riccone nel suo palazzo, guardategli le scarpe e ci vedrete appiccicati sopra i pezzetti di carne di mio padre. Forse troverete addirittura i suoi occhi o il suo naso nella suola di una scarpa ... Basta andarci..." Il direttore l'interruppe: "Secondo me è matto". Mohsen replicò: "No non è matto. Anch'io portavo ad aggiustare le scarpe a suo padre. L'ultima volta mi dissero che era morto". "Come è morto?" "Stava battendo la suola di una vecchia scarpa. Un giorno ci ficcò su un gran numero di chiodi per tenerla ben ferma. Quando fini, si accorse d'essersi inchiodato le dita tra la scarpa e il banco. Pensate, quant'era forte! Cercò di alzarsi, e non ci riusci. Era rimasto attaccato. Quelli che passavano di li non lo volevano aiutare e stette cosi -fmo a quando mori. Il direttore guardò di nuovo Mohsen che stava in piedi accanto al ragazzo, l'uno vicino all'altro, come una persona sola. Scosse più volte la testa senza dire parola. Poi tornò indietro, si accomodò nella sua soffice poltrona di cuoio e incominciò a scartabellare le carte lanciando di tanto in tanto un• occhiata di sottecchi a Mohsen e al ragazzo. Beirut 1961

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