~.lLBIAl\CO il-IL llos.50 • hitiii ii iii La scarpata Può essere considerato lo scrittore palestinese più importante, e uno dei più incisivi della letteratu ra contemporanea araba. Tradotto in molte lingue, il suo romanzo breve "Uomini sotto il sole" (in ''Palestina, tre racconti", a cura di Isabella Camera d'Afflitto, Salerno - Roma, Ripostes, 1984) è un piccolo capolavoro di valenza universale, da cui è stato tratto un film. In "Palestina, dimensione teatro" (a cura di Concetta Feria/ Barresi, ed. Ripostes, 1985) è pure tradotto un dramma dell'autore, intitolato ''La porta". Qui presentiamo un racconto breve scritto dal punto di vista dei bambini palestinesi, tratto da ''Palesti- ne's children" (London-Cairo-Washington, 1984), tradotto ed edito in Italia da P. Blasone e T. Di Francesco, con il titolo "La terra più amata. Voci della letteratura palestinese", ed. Il Manifesto. Nato ad Acri nel 1936 e fuggito con la famiglia nel 1948 in Libano e Siria, Kanafani comincia ad insegnare e a scrivere giovanissimo. Trasferitosi nel Kuwait e poi in Libano, milita nel Movimento dei Nazionalisti Arab i, da cui allafine degli anni Sessanta nascerà il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina. A Beirut all'attività letteraria e giornalistico-politica affianca quella di instancabile organizzatore culturale, attraverso saggi, antologie, convegni sull'ide a di una letteratura di resistenza palestinese. Morirà vittima di un attentato nel 1972, insieme alla nipote di sei anni. M ohsen prese con passi esitanti a camminare per il corridoio che portava alla sua prima esperienzanel mondo della scuola come insegnante, non sapeva come c'era arrivato, e faceva tutto il possibile per allontanare il momento dell'impatto. Tutta la notte aveva tossito, s'era rigirato nel letto fino all'alba pensando a una sola cosa: quanto fosse difficile starsene là in piedi davanti alla gente e... perché farlo? Per insegnare? A loro! Ma chi si credeva d'essere? Tutta una miserabile vita trascorsa senza che nessunoinsegnassequalche cosa di utile a te, e adesso pensi di avere tu qualche cosa da insegnare agli altri? Tu, poi, che oltretutto sei di quelli che hanno sempre ritenuto la scuola l'ultimo posto dove si possa imparare qualche cosa della vita? E così adesso fai l'insegnante, eh? Il mattino s'era trascinato fino all'ufficio del direttore. Ci s'era sedutoe s'era messo ad ascoltare gli altri insegnanti che discutevano sempre la stessa questione, solo da un altro punto di vista... "Che cosa immaginiamo di fare in quest'aula, con i bambini che non hanno i libri?" La risposta del direttore era stata seccae quasi sdegnosa: "Un bravo insegnantesa tenere una classe senza libri!" E aveva aggiunto sarcastico: _. .. - --- - - - - di Ghassan Kanafani "Chiedetelo a un bambino, allora, di tenere a bada la classe, se non ci riuscite da soli!" Mohsen aveva pensato tra sè "Sembra che il direttore voglia dare lui agli insegnanti una lezione di ubbidienza e di disciplina, fin dall'inizio. S'è tenuto i nostri stipendi una settimana, e adesso ci si vuole prendere l'anima". Inghiotti il suo tè e si alzò ... Il lungo corridoio era pieno dello schiamazzo dei bambini. A Mohsen con i suoi passi pesanti pareva di muoversi in un gorgo vorticoso che lo conducessea un futuro senza senso, un futuro fatto di niente che non fosse rumore, fracasso, insuls.aggini. "Ho una bella storia da raccontare, signor maestro ... " gli gridò un bambino addossato ad uno degli ultimi posti che, nella confusione, aveva intravisto l'opportunità di inserirsi con il suo racconto. E prima che Mohsen avesse potuto obiettare alcunchè, quello aveva lasciato il suo posto e stava di fronte ai compagni. Aveva addosso un paio di calzoncini corti troppo larghi per lui, e una camicia frusta del tipo che indossano le donne. I capelli neri e folti gli cadevano sulla fronte. "Mio padre era buono. Aveva i capelli bianchi e un occhio solo. L'altro se l'era fatto fuori 75 lui stesso un giorno che stava cucendo una spessa suola di scarpa da uomo. Faticava a far entrare l'ago nel cuoio, ma la suola era troppo spessa. Spingeva l'ago quanto poteva, ma senza successo. A un certo punto spinse ancora di più, ma quello non entrava. Allora si strinse la scarpa al petto e spinse con tutte le sue forze. Di colpo l'ago uscì da una parte, ma dall'altra gli entrò nell'occhio. Mio padre era buono. Non aveva una barba lunga, ma neanche tanto corta. Lavorava molto e nel suo lavoro era bravo. Aveva sempre un mucchio di scarpe da aggiustare e da far diventare come nuove. Però mio padre non era il proprietario della botteguccia dove lavorava e non aveva nessuno che lo aiutasse. La botteguccia, per la verità, non era più di una scatola, una scatola di legno, fogli metallici e cartone. C'era a mala pena posto per lui, per qualche chiodo, per le scarpe, per il banco. Nient'altro, e non ci sarebbe entrata neanche una mosca. Se un clientevoleva farsi aggiustare le scarpe, doveva aspettare fuori. La bottega stava sul fianco di una collina e sulla cima c'era il palazzo di un riccone. Nessuno che guardasse giù dal balcone cercando la bottega di mio padre la trovava perché c'erano piante
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