va all'integrazione è la dis-integrazione e la (maggiore) dipendenza dagli organismi finanziari internazionali. L'integrazione sta muovendo i primi passi in America Centrale e nel Cono Sud (v. accordo tra Argentina, Brasile e Uruguay). Accanto a questa integrazione tutta latina (e tra poveri, purtroppo), si prepara una zona di libero scambio tra il Messico e i due paesi più ricchi d'America. Più che di integrazione si potrebbe parlare, in questo caso, di "annessione", considerato il forte differenziale politico ed economico fra i tre partner (a voler essere sadici si potrebbe dire che il Messico offre manodopera a buon mercato; gli Usa, invece, hamburger e coca cola a prezzi di mercato ... ). Per dare un'idea del giro di affari iniziale di questa zona commerciale, basti ricordare che il valore complessivo dell'interscambio di merci e servizi tra Canada e Usa è attualmente dell'ordine di 150 miliardi di dollari (ognuno dei due paesi rappresenta il miglior partner commerciale per l'altro). L'interscambio tra Usa e Messico è invece di 60 miliardi di dollari (il Messico è il terzo partner degli Usa). Lo scambio di beni e servizi tra Canada e Messico è, invece, di soli 2,5 miliardi di dollari, ma è cresciuto rapidamente negli ultimi anni. Come è facile capire da questi pochi dati, i tre paesi dell'America del Nord stanno preparando un mercato unico geograficamente più vasto di quello che si prepara in Europa per il 1993e, in prospettiva, assai competitivo (riguarda un'area di oltre 21 milioni di kmq e più di 390 milioni di abitanti). La costituzione di una zona di libero scambio tra Canada, Usa e Messico (in sostanza, tra creditori e debitori, considerato che il Messico, da solo, copre un quarto del debito estero complessivo dell'America Latina) favorirà senz'altro lo sviluppo economico della più settentrionale delle nazioni latine, consentendo un suo tendenziale allineamento con i paesi occidentali e un progressivo sganciamento dalla comunidad latinoamericana. Sicuramente accentuati dalle nuove relazioni commerciali risulteranno i processi di modernizzazionedella struttura produttiva e della rete distributiva, peraltro già avviati nella seconda metà degli anni '80 insiemead un rilevante programma di _{).tJ, BIANCO lXltROSSO ii IIR11di i iitiM Uii privatizzazione delle imprese pubbliche (non privo di contraddizioni peraltro e non sempre ossequioso dell'interesse generale e delle regole della redditività). L'ingresso del Messico in una zona commerciale forte (più di quella Cee, in prospettiva), non basterà comunque, di per sè, a coprire il ritardo tecnologico e formativo, a modernizzare il sistema politico, a conferire autonomia alle relazioni industriali. La crescita culturale in questi settori è determinante per evitare che, nello schema di integrazione commerciale nordamericana, il Messico adempia a una funzione "servente" rispetto ai legittimi programmi di espansione economica degli Stati Uniti verso le regioni meridionali del continente. Per almeno due di queste sfide, la formazione professionale e le relazioni industriali, la cultura europea (in particolare quella italiana) potrebbe svolgere un ruolo importante. La creazione di un'ampia zona commerciale integrata nell'America del Nord non rimarrà senza effetti per la regione centroamericana, dove l'influenza degli Usa, nel bene e nel male, dura da qualche lustro. È prevedibile che gli Stati Uniti si determinino in pochi anni a pacificare definitivamente queste terre meravigliose, tirandole fuori dalle secche della miseria (Nicaragua) e della guerra e guerriglia (Salvador e Guatemala), magari consolidando il ruolo del Costa Rica come arbitro politico e leader dello sviluppo economico della regione. Gli Usa fanno capire da qualche anno di non potersi più permettere il lusso di finanziare governi truculenti e guerriglie bombarole in America centrale. I loro impegni internazionali sono cresciuti, quando sembrava che dovessero declinare. Ma è cresciuto anche il deficit interno e l'interesse a crearsi un mercato "sotto casa", anche per contrastare la concorrenza giapponese che invade le case e le strade dei latini, da Città del Messico a Panama. Detto in soldoni e con poche passioni, costa meno la pace che la guerra, considerato peraltro che il nemico di sempre (comunismo erivoluzione) non abita più li e che, nei Caraibi, fanno più vittime la miseria e la violenza in Haiti che gli sbadigli durante i comizi di Fidel. Ma se l'integrazione avanzerà, in America centrale, sarà prevedibilmente dominata dall'economico a scapito del sociale. Così accade, per certi versi, nel Vecchio continente, dove la presenza di forti organizzazioni sindacali nazionali e potenti partiti democratici e progressisti non impedisce che l'Europa economica viaggi con qualche lunghezza di vantaggio sull'Europa sociale. Figuriamoci in paesi nei quali il sindacato vive in genere nell'alternativa tra la subalternità allo Stato o ai partiti e la minaccia dello scioglimento o della emarginazione politica. E i partiti che intendono rappresentare seriamente il sociale sono per lo più oggetto di campagne diffamatorie, di accuse di narcotraffico e di "attenzioni" dinamitarde. Più complesso e interessante, anche per le implicazioni generali che potrebbe avere, si presenta il processo di integrazione tra i paesi del Cono Sud, avviato due anni fa tra Brasile, Uruguay ed Argentina e ora proiettato verso un più ampio schieramento che comprende anche il Cile e il Paraguay. Non si nasconde, tra gli esperti sindacali, entusiasmo e preoccupazione per una prospettiva comunitaria di tale portata. I progetti - e gli accordi - di integrazione economica nel Cono Sud non sono accompagnati da un adeguato approfondimento delle tematiche sociali connesse. Sembra anzi prevalere un'attenzione agli aspetti economici e commerciali senza un'adeguata riflessione sulle riforme di tipo istituzionale che dovranno sostenere la creazione di un grande mercato comune e sulle sue basi giuridiche, sulla opportuna trasformazione dei sistemi di relazioni industriali nei paesi interessati, sulla necessaria armonizzazione delle normative di tutela e protezione dei lavoratori. In questi settori c'è bisogno dell'esperienza (e della cultura) europea. Occorre pensare ad iniziative comunitarie o ad attività collegiali o associate di più paesi, da una parte e dall'altra (Europa e America Latina). Precedenti di rilievo ci sono (come il Progetto Clacso dell'Iscos Cisl - egregiamente diretto da Alberto Cuevas - volto ad approfondire i sistemi politici e istituzionali, nonché le relazioni industriali, in vari paesi dell'America Latina) e andrebbero rafforzati, associando magari sindacati e imprese in una sfida che costa senz'altro meno di gonfie celebrazioni (di sogni) di Conquista.
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