_l)_p. BIAI\CO '-Xli.ROSSO iil•lil•P Becchi Collidà). Senza questo modello, ed una siffatta identità, è evidente il rischio di "un sindacalismo di nicchia o corsaro" (Caviglioli). Non basta il ruolo di super-mediatore, in definitiva, per fondare il ruolo del sindacalismo confederale. Di nuovi valori parlano in molti (ad es. Spezzano), e non necessariamente con la tradizione retorica sindacale. Un nuovo significato di confederalità è ricercato da alcuni, in modo esemplare, nei problemi dell'ecologia sociale (Teutsch, Gnecchi). Ed in effetti pochi problemi come questi svelano la distanza dall'azione sindacale del passato e dalla logica dei suoi attori. Nuovi valori si ricercano anche sui temi tradizionali delle politiche salariali. L'occasione della trattativa di giugno potrebbe essere importante se, come dice ancora Caviglioli, si arrivasse alla determinazione di una sorta di "Carta delle retribuzioni e dei trattamenti del lavoro dipendente". Sarebbe affidato al sindacato una sorta di ruolo di "assicuratore della giustizia" (Merli-Brandini). Solo tale giustizia (ofairness) può permettere di por mano alla "nuova questione salariale", coincidente in buona parte con il deprivilegiamento dei tradizionali produttori di "ricchezza" (Veronese), ovvero delle categorie di lavoratori al centro della rappresentanza sindacale del passato. Categorie portatrici almeno di un minimo di "oggettività" nella giustizia retributiva. La terza importante argomentazione condivisa riguarda la scomparsa delle ragioni prof onde della divisione sindacale (Borgomeo, Cazzola). Una scomparsa che è fra l'altro dovuta alla loro minore comprensibilità. "La fase attuale è molto più ancorata a valori che ad ideologie" dice con efficacia Anna Carli, in una frase che potrebbe ben rappresentare il tono, e la novità, dell'intero dibattito. È evidente la non legittimazione delle divisioni agli occhi dei lavoratori (Liverani). Sembra giunto il momento dell'unità, se non per spinta positiva almeno per la caduta degli ostacoli. E questo anche per la minore presa dei partiti sulla società, ammette amaramente Luciano Lama. Risulterebbe difficile, infatti, legittimare la divisione delle centrali esclusivamente sulle diversità delle politiche, a meno che siano strumentalizzate dalle leadership (Vigevani). In effetti è arduo trovare nella storia del movimento sindacale delle divisioni stabili non imputabili a ragioni ideologiche-politiche. Sono certo possibili delle divisioni, anche drammatiche ma instabili, sulla base delle diversità nella composizione degli iscritti o nei criteri di reclutamento. Ma tali diversità, pur non inesistenti nella esperienza sindacale italiana, non sono tuttavia così pronunciate da giustificare divisioni. Tutto questo alla fin fine vuol dire unità a tempi brevi? Non necessariamente. Tuttavia il tipo di nuovo sindacato confederale a cui si tende non ha senso se non come costruzione unitaria (Miniati). Sono i sostenitori del particolarismo di categoria ad essere più avversi alla soluzione unitaria (Chioffi). La spinta dell'Europa costituirà una ragione forte di unità (Epifani, Benvenuto). Finirla con una fase, dice Del Turco, quella di questi anni, "nella quale l'unità non è un valore ma una convenienza reciproca" e nella quale "la mediazione non mette. in gioco l'identità di nessuno". Il cammino sembra tracciato e l'obiettivo anche, anche se con caratteri e percorsi ben lontani ed in parte dissonanti da quelli di un ventennio addietro. In conclusione il dibattito promosso da "Il Bianco e il Rosso", al di là del suo interesse intrinseco, ci sembra abbia mostrato una sensibile, quasi sorprendente unità culturale, nelle argomentazioni, nelle ispirazioni, nel linguaggio. Fosse solo per questo, l'unità del sindacalismo confederale italiano sembrerebbe vicina. Una unità pensata, richiesta, letta dai dirigenti sindacali nelle sensibilità e nei valori del mondo del lavoro. Non una unità imposta, richiesta, strappata da un grande movimento di partecipazione (così come era stato negli anni del grande ciclo). Ma questo non rende necessariamente più debole le sue potenzialità, anche perché dovrà saper reagire con efficacia alle sfide di identità portate dal sindacalismo autonomo e dalla sua logica di azione. Purtroppo, ed è questo il volto negativo, tale unità culturale sembra ancora priva di proposte di ordine operativo. Come tale potrà essere esposta ai possibili effetti corrosivi di nuove identità politiche, e resa disarmata da fattori esterni potenti di turbamento (ad esempio la intensificata competizione legata alla integrazione economica comunitaria). Potrà, ma non lo riteniamo probabile. Tale unità culturale ci sembra una risorsa preziosa, a patto che non la si lasci inaridire verso la stanchezza ed il disincanto. Provochiamo verso le realizzazioni coerenti il sindacalismo confederale italiano. Non tutto sarà indolore. Ma l'obiettivo vale bene qualche trauma.
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