Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 15/16 - apr./mag. 1991

Yemen Unificato formalmente nel maggio '90 e con gravi problemi di integrazione tra Nord e Sud e di coordinamento delle politiche economiche in funzione dello sviluppo, lo Yemen è stato fortemente danneggiato dalla crisi, e non è aiutato dall'occidente che gli rimprovera una eccessiva acquiscenza all'Iraq, paese che ne aveva fortemente appoggiato l'unificazione. Il principale fattore di crisi è stato il cambiamento dello status degli emigrati yemeniti in Arabia Saudita, che ha provocato il ritorno in patria di circa 500.000 lavoratori. Si tratta di un- colpo durissimo, cui seguirà quello della riduzione degli aiuti. Rimesse ed aiuti hanno infatti permesso finora di sostenere deficit commerciali altissimi, e permangono necessari anche oggi che è iniziato l'export di petrolio. Lo Yemen ha apprezzabili potenzialità di export di greggio ma ha necessità di cooperazione e di credito. L'Italia è interessata allo sviluppo del settore petrolifero ed acquista regolarmente dallo Yemen: nel 1990 per circa 320 miliardi, a fronte di 65 miliardi di export. In conclusione, se gli effetti di breve periodo della crisi risultano nel loro complesso negativi, rispetto al medio periodo la situazione appare più incerta: l'ampliamento del settore energetico e, nei paesi non produttori, dei finanziamenti, legati all'emergenza e non alla realizzazione di specifici obiettivi di politica economica, in generale non favorisce il processo faticosamente avviato di privatizzazione delle economie, ma può, in alcuni paesi, consentire l'attuazione di riforme significative e, in altri, allentare la morsa del debito. Sia per il medio termine che per tempi più lunghi appare comunque decisivo l'equilibrio politico che potrà determinarsi nell'area, equilibrio e stabilità dai quali potrà dipendere la temporaneità degli effetti di crisi e la stessa possibilità di ridurre gli squilibri strutturali. Al riguardo è fondamentale il rapporto che potrà essere ristabilito con l'Europa, con la quale non potrà esservi vera collaborazione se non si affronteranno e risolveranno con chiarezza i.)!I , BI \ :\1CO \.Xli.BOSSO ift•ihlii tutti i motivi del contenzioso che ho elencato in precedenza. Solo di qui può prendere avvio la nuova politica globale mediterranea elaborata dalla comunità economica, che si fonda su una strategia di cosviluppo orientata a una progressiva integrazione economica tra le due sponde. Più che di nuovi strumenti, l'attività di cooperazione dovrà essere dotata di maggiori fondi, essere ripensata negli obiettivi e nei metodi e, soprattutto, essere correlata con altre azioni, assai più ardue da intraprendere perché volte a correggere un sistema economico che, attraverso le regole di mercato, impone la legge del più forte. Il grado di probabilità che i paesi sviluppati attuino spontaneamente una tale politica è minimo: infatti negli ultimi anni abbiamo assistito a una progressiva riduzione dell'aiuto ai paesi poveri, a programmi di ristrutturazione del debito che hanno sottratto anche le poche risorse interne e persino a una sorta di oblio delle ragioni e dell'impegno che negli anni '70 avevano consentito l'istituzione di un programma internazionale di aiuti. Da parte dei paesi sviluppati non si esprime alcuna volontà di rinunciare e di trasferire al Sud una parte più consistente della propria ricchezza e tantomeno plausibile appare·quindi l'ipotesi ch'essi siano disposti a modificare i meccanismi di accumulazione che la determinano. Un progetto per il Mediterraneo può muovere dalle seguenti considerazioni: 1) tra le due rive esistono grandi differenze economiche e sociali, ma anche una cultura comune, una lunga abitudine di scambi, una complementarità e una vicinanza, che condizionano lo sviluppo reciproco. 2) I paesi della riva Sud presentano forti squilibri, ma hanno anche conseguito un progresso e sono dotati di risorse materiali e umane. Le politiche economiche attuate non sono state esenti da errori e da insuccessi, ma presentano oggi notevoli modificazioni e una volontà condivisa di riferirsi a un mercato di più vaste dimensioni. All'opzione politica della "nazione araba" si è affiancata l'ipotesi più realistica di entità economiche quali l'Unione del Maghreb arabo (Urna). 3) Nel tormentato rapporto Nord-Sud, a lato degli insuccessi della cooperazione internazionale, non si può non registrare le realizzazioni ottenute nei paesi di nuova industrializzazione (Nic), che hanno conseguito uno sviluppo economico attraverso l'investimento diretto dei paesi ricchi in produzioni manifatturiere con contenuti innovativi. Tralascio per brevità gli aspetti fortemente negativi di questo modello, assumendone soltanto le caratteristiche positive che ho indicato e che in parte ritengo possano essere riprodotte, anche perché, allo stato attuale delle cose, riesce difficile credere alla possibilità di successo di impostazioni che non tengano conto delle regole del mercato. Tra i paesi arabi del Mediterraneo la Tunisia per prima si è mossa in questa direzione, promuovendo e favorendo gli investimenti stranieri, ma nuove aperture si sono determinate anche negli altri Stati, che tendono a una progressiva internazionalizzazione delle proprie economie. 4) L'attenzione dell'Europa è oggi soprattutto rivolta al progetto di liberalizzazione e di crescita dell'Europa centro-orientale. Ad un maggior ma ancora incompleto grado di apertura dei Ptm corrisponde, quindi, almeno nel medio periodo, un nuovo e diverso polo di attrazione, che drenerà attività e risorse economiche. È quindi necessario che il progetto abbia un elevato grado di consenso e di correlativo impegno da parte di tutti i paesi. I paesi della riva Sud dovrebbero eliminare rapidamente ogni residuo impedimento alla libera circolazione dei capitali, alla privatizzazione di molti settori economici e alla certezza del diritto. I paesi della riva Nord devono aprire i propri mercati alle produzioni realizzate nei Ptm e devono assegnare risorse e incentivi adeguati a uno sviluppo industriale ad alta tecnologia. Credo che una contrattazione di questo tipo dovrebbe costituire il primo obiettivo delle nuove entità geoeconomiche, sia al loro interno sia nei confronti della Ce. Mi pare ugualmente necessario che la quasi totalità delle risorse esterne, anziché a progetti di infrastrutturazione territoriale, vengaassegnata a progetti industriali, sia finanziando interamente la quota di capitale del Ptm nelle società miste, sia incentivando la partecipazione delle

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