i.>-ll, 81.\~CO lXII.ROSSO •h•#Oid Europa e Mondo arabo fra rottura e dialogo S appiamo, per esperienza, che qualunque sia il verdetto emesso dalle armi nessuna guerra può dirsi vinta se non conduce verso un grande progetto di pace. In effetti, al di là delle due principali vittime del conflitto, i popoli iracheno e kuwaitiano, questa guerra pone l'insiemedei popoli arabi di fronte ad una quinta disfatta in meno di due generazioni, ed essa obbliga noi tutti, e non i soli belligeranti, a ricercare i mezzi atti a vincere la pace, impedendo cosi al traumatismo subìto di trasformarsi in rottura senza speranza. È alla luce di una diagnosi approfondita sia delle cause della conflagrazione che del suo epilogo che occorrerà, per le azioni da intraprendere, trovare le risposte appropriate. Radiografia di una rottura Al di là dei fatti che hanno portato alla guerra del Golfo e che sono stati ampiamente analizzati e commentati, occorrerebbe, a mio avviso, ricercare le radici del malinteso in alcuni elementi che a questa guerra preesistevano e che rischiano, ahimè, di sopravviverle. Senza risalire alla sorgente del contenzioso fra i due mondi, arabo e occidentale, che fin dal Medioevo, dalle Crociate e dalla Riconquista non hanno mai cessato di affascinarsi e di opporsi, resta il fatto, innegabile, che nei tempi moderni, la colonizzazione ha dato vita a fermenti di nuovi antagonismi che la decolonizzazione non è riuscita a superare. Il fatto è che i valori degli uni erano veicolatidalla dominazione e quelli degli altri dalla resistenza. Il fallimento, relativo ma molto reale, delleesperienze di sviluppo condotte all'indomani delle indipendenze non di Mohamed Aziza ha reso possibile il superamento di questi antagonismi facendo perdurare, anche se in sordina, la sensazione di disagio. Questa situazione di squilibrio mantiene vivi, anche se tacitamente, le incomprensioni e i malintesi. Quando, da un lato, si esaltano i valori positivisti del progresso, della produttività razionalizzata, della laicità e dell'evoluzione dei costumi, dall'altro lato si replica riaffermando la necessità di preservare l'identità minacciata, di lottare contro l'estroversione economica e la spersonalizzazione culturale di una società resa fragile dal suo mancato sviluppo e dalla sua posizione marginale. Da qui scaturisce, nel mondo arabo, questo ritorno ad un radicalismo religioso vissuto come un ritrarsi quasi fetale, un modo per tentare di cancellare le stimmate dei fallimenti passati e presenti. E da qui scaturisce anche questa tentazione, che rinasce incessantemente dalle proprie ceneri, di rivendicare l'unità araba. Le radici di questa aspirazione hanno una doppia origine. La prima trascende la storia ed è di ordine religioso. Consiste nell'esigenza di ritrovare questa "umma" o unità senza frontiere né distinzioni nella quale si compirà il destino voluto da Dio per questa ''nazione del mezzo" che si era suddivisa in tribù, clan, grandi famiglie e si era costituita in un insieme integratore, mediante la "baya" (riconoscimento di sovranità) della totalità delle sue parti. Niente è concettualmente più estraneo al pensiero politico tradizionale arabo-musulmano, della nozione di uno Stato nazione, fondato sul riconoscimento di un suolo nazionale delimitato da una frontiera che divide in vari Stati separati e persino opposti, l'insieme nazionale (l'aggettivo non ha, lo si sarà capito, lo stesso significato) arabo. La seconda ragione è storica: aspirando a realizzare la loro unità i popoli arabi vorrebbero cancellare ciò che essi considerano il marchio della colonizzazione, questo momento della loro maggior decadenza. Ma anche se questa aspirazione è quasi unanimamente sentita, occorre però convenire che i tentativi per realizzarla si sono rivelati, fino ad oggi, unidimensionali e caotici. Alcuni hanno pensato che questo obiettivo potesse essere determinato dall'alto e potesse realizzarsi per incanto, con un colpo di bacchetta magica, non appena i leaders avessero cosi deciso, ponendo la loro firma su una pergamena. Altri hanno optato per soluzioni più brutali: conquiste e fatto compiuto, metodi che si sono rivelati vani come pezzi di carta portati dal vento della Storia. Per concludere con le radici del malinteso che impedisce il dialogo è necessario ricordare la rottura culturale che separa le due sponde del Mediterraneo e le sue ripercussioni europee e arabe. Essa risiede nella difficoltà incontrata, dall'una o dall'altra parte, di percepire nella sua complessità, e di riconoscere nella sua legittimità, l'autentica alterità dell'Altro. Mentre l'Arabo viene degradato negli stereotipi dell'immigrato che spazza le strade, del terrorista minaccioso o del petroliere gaudente, l'Europeo o l'Occidentale viene percepito, dall'altra parte, con poche sfumature, infinitamente meno di quante sarebbero necessarie, anche se quest'ultimo, possedendo potenti mezzi di comunicazione, può attenuare gli ef-
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