Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 15/16 - apr./mag. 1991

saper passare dalla fase della distruzione a quella della realizzazione. E forse l'inconscia sfiducia nelle capacità di salvezza di quel "ritorno" alle fonti, che deve fare i conti con le fratture che intanto la storia ha determinato in misura irreversibile, non fa che aumentare l'esasperazione e le recriminazioni. La crisi che è sfociata nella guerra del Golfo dopo l'invasione irachena del Kuwait e l'allestimento di un colossale apparato bellico imperniato sulla forza americana ha riproposto lo schema della confrontazione fra Occidente e mondo arabo. Saddam Hussein ha persino messo da parte i principi del laicismo che avevano contraddistinto il suo regime per attingere ai valori dell'Islam. D'altra parte gli Stati occidentali non erano soli, anche se alla fine erano gli interessi del "centro" a decidere, avendo coinvolto in una medesima coalizione anche molti paesi arabi, fra cui l'Egitto e la Siria, esponenti di riguardo del filone nazionalista postrivoluzionario, e l'Arabia Saudita, custode dei "luoghi santi" musulmani. Il protagonismo dell'Iraq era emerso alla fine degli anni '70. Saddam Hussein rivendicò per sé un ruolo duplice, ~JJ,RIANCO \Xli, HOSSO •h•#hid e come tale ambiguo: di campione dell'arabismo al posto del declinante Egitto, escluso dalle organizzazioni arabe dopo la pace separata di Camp David, e di alleato in senso conservatore per contenere la furia iconoclastica della rivoluzione islamica. I quasi dieci anni della guerra fra Iraq e Iran avevano dimostrato fino a che punto il regime di Saddam fosse disposto a svolgere la sua parte, al limite della "restaurazione", e non gli era mancato infatti l'appoggio delle monarchie del petrolio e dell'Occidente, accantonando se necessario la diffidenza per i suoi eccessi. Ma lo scontro si è verificato egualmente, più tardi, quando l'Iraq ha attaccato il Kuwait pensando di aver diritto a compensazioni adeguate: Saddam non si era reso conto che i suoi meriti erano a termine e che terminata l"'emergenza Khomeini" toccava a lui essere considerato un "nemico". La fine della guerra fredda e del bipolarismo ha lasciato l'Iraq allo scoperto. Inutili sono risultati gli sforzi profusi da Gorbaciov da un lato per condannare l'aggressione e dall'altro per non avallare troppo apertamente un ricorso alla guerra che è antitetico ai postulati su cui poggia la politica estera sovietica. Al di là del contenzioso specifico che ha scatenato il conflitto, era inevitabile che quel focolaio di "potenza" impropria nella periferia fosse cancellato? Come mai l'Iraq cessava di essere funzionale all'ordine dominante? Il paradosso della guerra che si è rivolta contro Saddam dopo che se ne era servito per accreditarsi davanti al mondo che alla fine l'ha ripudiato e distrutto sta nell'assenza di ogni possibile progetto "antisistema" nella politica del regime del Baath. L'immagine cara a Bush del "nuovo ordine mondiale'', che equivale a prospettare ai paesi in via di sviluppo una modernizzazione d'intesa con l'Occidente anziché in competizione con esso, dà per scontato l'affermarsi, in tutto il Terzo mondo e intanto nel mondo arabo, di classi dirigenti che condividano con l'Occidente una stessa idea di stabilità e di sicurezza, come sta avvenendo in Egitto e forse in Siria, ma ciò non significa che - a parte la perdurante impervietà della questione palestinese (o israeliana) - il mondo arabo trovi veramente le risposte alla sua domanda di indipendenza e di progresso. Il cosiddetto ''integralismo''islamico T ra i fenomeni più rilevanti che il mondo islamico ha prodotto in questo ultimo quarto di secolo va senza dubbio annoverato quello del vivace recupero dei più profondi valori della cultura islamica. L'Islam è tuttavia ben più di una religione che mira alla salvezza dell'uomo in quanto fornisce al credente una cornice di vita e un modello di comportamento che il musulmano non può assolutamente trascurare di osservare in di Claudio Lo Jacono ogni momento della sua vita terrena. In altri termini nella cultura islamica non è accettabile discriminare fede e opere: si è buoni credenti se si opera come tali e nulla potrebbe suonare più estraneo della nostra formula di ''libera Chiesa in libero Stato". È dunque, a stretto rigor di logica, niente più che una tautologia la definizione di "integralismo" per identificare tale fenomeno, giacché l'Islam è e non potrebbe non essere integralista. J.i Diversamente dalla cultura cristiana quella arabo-islamica è sorta e si è affermata in brevissimo tempo non avendo come punto di riferimento alcuna esperienza di tipo statuale. NessunCesare batteva moneta nelle regioni della Penisola arabica che dette i natali al Profeta Muhammad e all'élite dei suoi Compagni che guidarono le sorti di quella prima umma (comunità). Il Profeta fu Inviato di Dio per rivelare il Corano e al contempo legislatoree ca-

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