Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 15/16 - apr./mag. 1991

.{)!I. Rl.\~CO \Xll,HOSSO 1111 #019 ''Nazionalismo'' arabo: un difficile passaggio A differenza di altre religioni dell'area coloniale, divenuta colloquialmente e politicamente nota come Terzo mondo a cominciare dagli anni '50, il mondo arabo non ha elaborato il suo nazionalismo contro l'Europa e l'Occidente. I primi partiti nazionalistici, le prime associazioni ispirate ai concetti di patria e libertà, agivano nei confronti dell'Impero Ottomano per liberarsi dal giogo turco (oppressivo ma dotato di un particolare ascendente in quanto il sultano si fregiava anche del titolo di califfo, successore o vicario di Maometto). Non solo gli arabi non si definivano contro l'Occidente ma avevano ricavato dal pensiero politico occidentale l'idea-forza, il nazionalismo, con cui avrebbero riconquistato l'indipendenza e una pari dignità a livello mondiale. Il nazionalismo - nel contesto arabo-islamico - ha incontrato molte difficoltà ad imporsi per la concorrenza di ideologie universalizzanti che coprono l'intero mondo arabo o la comunità musulmana, molto più pregnanti e legittime della nozione di Stato nazionale, e spesso il contributo più convinto al dibattito nazionalista è venuto proprio da intellettuali di formazione europeizzante, alcuni dei quali cristiani, per i quali non valeva con lo stesso vigore il richiamo al panarabismo o al panislamismo. Ciò nonostante, tutta la storia del mondo arabo nell'età contemporanea - quella successiva alla disintegrazione dell'Impero Ottomano e all'emergere degli Stati così come esistono oggi - è caratterizzata da una dialettica, degenerata più di una volta in antagonismo, fra arabi, Islam e nazionalismo da una parte e Europa, Occidente e colonialismo dall'altra. Prescindendo qui dal retaggio più di Giampaolo Calchi Novati propriamente storico, perché in fondo esso potrebbe essersi tramandato nell'immaginario dei popoli per effetto delle vicende più vicine a noi, sono state proprio le modalità con cui è avvenuta la transizione all'indipendenza ad aver segnato il rapporto fra arabi e Occidente. In occasione della prima guerra mondiale, gli arabi si sollevarono contro il potere turco ignorando gli appelli del califfo di Costantinopoli alla "guerra santa" perché avevano intravvisto la possibilità della sovranità e dell'unità. Questo era anche l'impegno assunto dal governo inglese con lo sceriffo della Mecca, Hussein, capostipite delle dinastie hashemite che sarebbero andate al potere in Iraq e in Giordania (il re Hussein è l'ultimo monarca in carica) e tipico esponente di quella classe feudale-aristocratica con cui le potenze europee patteggiarono per perpetuare il loro dominio. Ma per gli arabi l'anno della fine dell'Impero Ottomano fu l"'anno della catastrofe". Inghilterra e Francia, infatti, avevano vanificato le attese degli arabi - delle popolazioni come delle loro classi dirigenti - sovrapponendo il loro potere agli Stati che furono formati raggruppando arbitrariamente le province arabe dell'ex-Impero Ottomano. Né indipendenza, né unità. Come se non bastasse, furono poste allora anche le premesse del reinsediamento ebraico in Palestina con la Dichiarazione Balfour anticipando la creazione dello Stato di Israele nel cuore stesso della nazione araba. Il risentimento per quell'interferenza fu talmente profondo che i nazionalisti arabi finiranno per sopravvalutare la manomissione di tipo coloniale nella processualità politica del Medio Oriente, quando invece alla base degli Stati così come si sono costituiti non ci sono J2 solo gli atti di imperio perpetrati da Londra e Parigi, ma anche nuclei di identità collettiva che avevano un'origine autonoma e sicuramente anteriore al colonialismo e alla penetrazione dell'Europa. Quella interpretazione si giustificava però con la mai avvenuta conciliazione della cultura araba con il concetto di nazionalismo in senso territoriale. Saranno soprattutto gli integralisti islamici venuti alla ribalta dopo la rivoluzione di Khomeini in Iran a mettere in discussione gli Stati di tutta l'area musulmana, presentati come l'ultimo dono avvelenato dell'imperialismo, ma le istituzioni nazionali nel mondo arabo sono sempre state fragili. Si spiega anche così la ricerca quasi ossessiva di accordi unitari, patti, federazioni o confederazioni, quasi che la fisionomia della Siria, della Libia o dell'Egitto, fosse incompiuta senza il coronamento della dimensione panaraba. La definitiva sanzione dell'indipendenza degli Stati arabi ebbe luogo con la seconda guerra mondiale. Si può dire, anzi, che il mondo arabo fu il primo anello del fenomeno più complesso della decolonizzazione. Quel trapasso tuttavia realizzava solo in minima parte gli obiettivi della decolonizzazione stessa. L'indipendenza non fu conquistata mediante una riconsiderazione degli assetti istituzionali e dei rapporti sociali, giacché per lo più essa tornò a vantaggio delle stesse classi dirigenti che erano prosperate all'ombra del colonialismo, donde la serie di Stati dinastici, feudali, pattizi o fittizi, e su tutto restò a gravare la macchia della costituzione dello Stato di Israele, che privò i palestinesi di una loro patria e chemise in moto una conflittualità mai più risolta a causa della sua percezione da

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