Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 15/16 - apr./mag. 1991

gione. Non si ammette quindi separazione tra religione e stato, tra religione e politica, e nell'interpretazione letterale del Corano vengono cercati tutti i principi per la risposta agli interrogativi contemporanei, anche sociali ed economici. È difficile prevedere che cosa potrà avvenire in un futuro più remoto e non è il caso di indulgere a ipotesi azzardate. Sembra corretto, nel quadro di quell'atteggiamento di rispetto che prima abbiamo richiamato, auspicare e aiutare affinché il trapasso necessario ad una assunzione non puramente materiale delle agevolazioni tecniche che vengono dall'occidente sia accompagnato da uno sforzo serio di riflessione storico-critica sulle proprie fonti religiose e teologiche cercando "quell'armonia tra la visione filosofica del mondo e la legge rivelata" (cf L. Gardet, L'Islam e i cristiani, Roma 1988, p. 114), che era già presente in alcuni dei filosofi arabi conosciuti e utilizzati da s. Tommaso. Dobbiamo adoperarci affinché i musulmani riescano a chiarire e a cogliere il significato e il valore della distinzione tra religione e società, fede e civiltà, Islam politico e fede musulmana, mostrando che si possono vivere le esigenzedi una religiosità personale e comunitaria in una società democratica e laica dove il pluralismo religioso viene rispettato e dove si stabilisceun clima di mutuo rispetto, di accoglienza e di dialogo. L'atteggiamento della Chiesa e il dialogo Alla luce di quanto fin qui detto, quale dialogo è possibile oggi e quale deve essere l'atteggiamento della nostra Chiesa a questo proposito? Mi pare opportuna una distinzione tra dialogo interreligioso in generale e dialogo tra singoli credenti. Il primo è quello che si svolge a livelli più ufficiali, tra rappresentanti religiosi di ambo le parti. C'è poi quel dialogo che si svolge a livello quotidiano a contatto con i musulmani che incontriamo oggi sempre più frequentemente. Va tenuto presente il fatto che non sempre la singola persona incarna e rappresenta tutte le caratteristiche che astrattamente designano un credente di quella religione. Come avviene per i cristiani, così anche per i musulmani non tutti aderiscono in pratica e con .QJJ, Bl.\~CO lXltllOSSO •h•#hld piena coscienza ai precetti e alle dottrine prescritte e ciò probabilmente anche a causa dello scarso retroterra culturale di molti immigrati di recente. Il problema non è tanto di fare grandi discussioni teologiche, ma anzitutto di cercare di capire quali sono i valori che realmente una persone incarna nel suo vissuto per considerarli con attenzione e rispetto. Si potranno trovare, non di rado, molte più consonanze pratiche di quanto non avvenga in una disputa teologica. Ciò vale soprattutto per i valori vissuti della giustizia e della solidarietà. Tuttavia questa considerazione individuale deve sempre tener conto delle dinamiche di gruppo. Infatti l'Islam non è solo fede personale, bensi realtà comunitaria molto compatta e una parola d'ordine lanciata da qualche voce autorevole al momento opportuno può ricompattare e ricondurre a unità serrata anche i soggettivismi o i sincretismi religiosi vissuti da un singolo individuo. Per quanto riguarda più in generale l'atteggiamento della nostra Chiesa e le attitudini che si raccomandano a tutti i nostri cristiani, vorrei richiamare brevemente l'attenzione su alcuni punti che derivano dai principi sopra esposti: 1. Occorre accogliere motivando cristianamente il perché della nostra accoglienza, dicendolo in una lingua "comprensibile", che è più spesso quella dei fatti e della carità, dando ai musulmani il senso dello spessore religioso che pervade la nostra accoglienza. 2. Occorre ricercare insieme un obiettivo comune di tolleranza e mutua accettazione. Non mancano per questo i testi anche nel Corano. Dobbiamo sfatare a poco a poco il pregiudizio in essi radicato che i non musulmani sono di fatto non credenti. Solo quando ci riconosceremo nel comune solco della fede di Abramo potremo parlarci con più distensione superando i pregiudizi. 3. Dobbiamo far cogliere loro che anche noi cristiani siamo critici verso il consumismo europeo, l'indifferentismo e il degrado morale che c'è tra noi, far vedere che prendiamo le distanze da tutto ciò. Data la loro abitudine a vedere legate religione e società e anche in forza delle esperienze storiche delle crociate, essi tendono a identificare l'occidente col cristianesimo e a comprendere sotto una sola condanna i vizi del1'occidente e le colpe dei cristiani. Bisogna far comprendere che siamo solidali con loro nella proclamazione di un Dio Signore dell'universo, nella condanna del male e nella promozione della giustizia. 4. Il dialogo con i musulmani sarà in particolare per noi un'occasione per riflettere sulla loro forte esperienza religiosa che tutto finalizza alla riconsegna a Dio di un mondo a Lui sottomesso. In questo, il nostro giusto senso della laicità dovrà guardarsi dall'esser vissuto come una separazione o addirittura opposizione tra il cammino dell'uomo e quello del cristiano. Come è chiaro da quanto abbiamo detto, pensiamo fermamente che il tempo delle lotte di conquista da una parte e delle crociate dall'altra debba considerarsi come finito. Noi auspichiamo rapporti di uguaglianza e fraternità e insistiamo e insisteremo perché a tali rapporti si conformi anche il costume e il diritto vigente nei paesi musulmani riguardo ai cristiani, perché si abbia una giusta reciprocità. Conosciamo i problemi giuridici e teologici che i nostri fratelli dell'Islam hanno nei loro paesi per riconoscere alle comunità cristiane minoritarie i diritti che da noi sono riconosciuti alle minoranze, ma non possiamo pensare che tali problemi non possano essere risolti affidandosi a quella conduzione divina della storia che è vanto dell'Islam aver sempre accettato in mezzo a tante dolorose vicissitudini. Il nostro atteggiamento vuole in ogni caso ispirarsi a quello di san Francesco d'Assisi che scriveva nella sua Regola, al cap. XVI Di coloro che vanno tra i saraceni: "I frati che vanno tra i saraceni col permesso del loro ministro e servo possono ordinare i rapporti spirituali in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti e dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L'altro è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio ... e tutti i frati, ovunque sono, si ricordino che hanno consegnato e abbandonato il loro corpo al Signore nostro Gesù Cristo e che per suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che invisibili".

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