tuttavia, si pone alle coscienze umane il problema di integrarsi alla Legge e di giudicare il valore degli atti in funzione della loro conformità formale ed intenzionale alla Rivelazione. Per essere accessibileagli uomini la Rivelazione deve storicizzarsi. Un testo si trova nella Sura del "Tuono". "Noi abbiamo certamente mandato degli Inviati prima di voi. Abbiamo loro dato spose e discendenza. Un Inviato non può produrre un segno se non con l'ordine di Dio. Ad ogni termine una scrittura. Allah can- .Q!I. 81.\~CO '-Xli.BOSSO 11:•#hlA cellae conferma quello che vuole. E dispone dell'Archetipo della Scrittura": (Corano XIII - 38). Cosi l'esistenza storica pur avendo un suo proprio valore resta strettamente legata all'archetipo scritturale. La natura stessa del prof eta, incarnato in una comunità vivente, simbolizzata qui dalla sposa e dalla posterità inscrive il senso del divino nel seno stesso della storicità. Il segno della profezia non può essere prodotto che su ordine di Dio che produce l'assoluto archetipo (Umm Al Kitab), può solo cancellare o confermare ciò che Egli vuole. Il "A ciascun termine la sua scrittura" (Li-kull aga/ Kitob). permette una comprensione storicizzante della parola di Dio. Questa si incarna in formulazioni differenti e a seconda dei secoli, ma il senso transtorico resta lo stesso: l'atto reale rinvia alla parola pronunciata, e la parola pronunciata rinvia sempre alla Parola ineffabile. Dio solo può disporre dell'archetipo della Scrittura. E questa subito è sottratta ad ogni analisi oggettiva. Noi e l'Islam Pubblichiamo ampi passi del Discorso che il cardinalearcivescovo di Milano ha pronunciato il 7/12/1990 in Duomo. I I racconto del libro della Genesi (21,13-20), ci parla di un figlio di Abramo che non fu capostipite del popolo ebraico, come lo sarebbe stato Isacco,ma a cui ugualmente sono state riservate alcune benedizioni di Dio. "lo farò diventare una grande nazione anche il figlio della schiava, perché è tua prole" promette Dio ad Abramo (v. 13). E infine nel racconto si dice: "Dio fu con il fanciullo" (v. 20). Le reali vicende di questo Ismaele e dei suoi figli rimangono oscure nella storia del secondo e primo millennio avanti Cristo, ma è chiaro che il riferimentobiblicova ad alcune tribù beduine abitanti intorno alla penisola araba. Da tali tribù doveva nascere molti secoli dopo Maometto, il profeta dell'Islam. Oggi, in un momento in cui il mondo arabo ha assunto una straordinaria rilevanza sulla scena internazionale e in parte anche nel nostro paese, non di Carlo Maria Martini possiamo dimenticare questa antica benedizione che mostra la paterna provvidenza di Dio per tutti i suoi figli. Nasceranno via via nuovi problemi riguardanti la riunione delle famiglie, la situazione sociale e giuridica dei nuovi immigrati, la loro integrazione sociale mediante una conoscenza più approfondita della lingua, il problema scolastico dei figli, i problemi dei diritti civili, ecc. Non entro direttamente in tali temi perché ho avuto modo di parlarne in diverse occasioni. Vorrei solo richiamare qui, prima di abbordare il tema più specifico, un punto che mi è sembrato finora poco atteso e cioè la necessità di insistere su un processo di "integrazione", che è ben diverso da una semplice accoglienza e da una qua1 unq ue sistemazione. Integrazione comporta l'educazione dei nuovi venuti a inserirsi armonicamente nel tessuto della nazione ospitante, ad accettarne le leggi e gli usi fondamentali, a non esigere dal punto di vista legislativo trattamenti privilegiati che tenderebbero di fatto a ghettizzarli e a farne potenziali focolai di tensioni e violenze. Finora l'emergenza ha un po' chiuso gli occhi su questo grave problema. In proposito il recente documento della Commissione Giustizia e Pace della Cei dice: "Non va dimenticata la necessità di regole e tempi adeguati per l'assimilazione di questa nuova forma di convivenza, perché l'accoglienza senza regole non si trasformi in dolorosi conflitti" (Uomini di culture diverse: dal conflitto alla solidarietà, 25 marzo 1990, n. 33). È necessario in particolare far comprendere a quei nuovi immigrati che provenissero da paesi dove le norme civili sono regolate dalla sola religione e dove religione e stato formano un'unità indissolubile, che nei nostri paesi i rapporti tra lo stato e le organizzazioni religiose sono profondamente diversi. Se le minoranze religiose hanno tra noi quelle libertà e diritti che spettano a tutti i cittadini, senza eccezione, non ci si può invece appellare, ad esempio, ai principi della legge islamica (shari'a) per esigere spazi o prerogative giuridiche specifiche. Occorre perciò elaborare un cammino verso l'integrazione multirazziale che tenga conto di una reale integrabilità di diversi gruppi etnici. Perché si abbia una società integrata è necessario assicurare l'accettazione e la possi-
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