Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 15/16 - apr./mag. 1991

c'è altro dio che Iddio, e che Muhammad è l'Inviato di Dio"), costituisce nel contempo la dichiarazione di adesione a quest'ultima. Gli altri pilastri della fede costituiscono conferme periodiche dell'appartenenza alla comunità. La preghiera solenne del venerdl a mezzogiorno è anche un atto politico, poiché vi si menziona il nome del sovrano riconosciuto (e ha spesso fornito pertanto l'occasione di un primo gesto pubblico di ribellione). L'elemosina rituale o decima canonica (che nello Stato islamico ideale dovrebbe essere l'unica imposta dovuta dai musulmani), sostituendo a una tassa normale un obbligo religioso consente all'intera comunità di riconoscersi come un tutto coerente e solidale. Anche il digiuno diurno durante il mese di Ramadan è un vincolo che consente alla comunità dei musulmani di riconoscersi, di aggregarsi e di socializzare. Il pellegrinaggio alla Mecca, infine, è una manifestazione concreta della fratellanza e 1.).t.l. Bl.\'.\CO l.XII.HOSSO •h•4111N della solidarietà dei musulmani provenienti da ogni angolo della terra. Date queste premesse non ci si dovrebbe meravigliare troppo se masse di musulmani sono scese i~ piazza, nel Maghreb e altrove, per manifestare solidarietà non tanto a Saddam Hussein quanto alle vittime irachene dei bombardamenti. Qui è intervenuto anche un altro valore profondamente sentito dai musulmani, quella sete di giustizia che, accompagnata da comprensibili semplificazioni e schematismi, fa considerare ipocrita questo Occidente pronto a mobilitarsi per liberare il Kuwait dopo essersi disinteressato per decenni di una ferita che per tutti gli arabi, e per moltissimi musulmani, è ancora aperta: quella della Palestina. Evocare la tolleranza come valore dell'Islam può apparire in contrasto con il gran parlare di guerra santa, o gihàd, che si è fatto negli ultimi tempi. In realtà gihàd significa "sforzo, applicazione" sulla via di Dio per realizzare se stessi, per diffondere la fede e - per chi ha raggiunto i più alti livelli di consapevolezza spirituale - per soffocare le passioni individuali e raggiungere la comunione con Dio: la versione militare del gihàd, impropriamente chiamata "guerra santa", è soltanto un aspetto parziale, secondario. Nella dottrina prevalente la guerra è un male, ed è ammessa solo se il suo fine è quello di esaltare la parola di Dio: siamo dunque ben lontani dalle strumentalizzazioni tentate da Saddam Hussein. D'altra parte, secondo una tradizione risalente a Muhammad, ''Dio impone a ciascuno solo quanto può sopportare" e non ci dovrebbe essere costrizione nelle cose di religione. C'è poi un versetto del Corano ("voi avete la vostra religione, io la mia'') che - come ricorda Alessandro Bausani - può essere considerato la "carta fondamentale della tolleranza religiosa nell'Islam". I nostri pregiudizisugli arabi I n un colloquio internazionale "L'incontro tra cultura araba e cultura dell'Europa mediterranea nell'epoca contemporanea", tenutosi a Firenze nel 1972 e organizzato dall'Ipalmo, (gli atti sono stati pubblicati a cura di Liliana Magrini) era già stato affrontato da diversi partecipanti il problema della cattiva informazione che in Occidente si ha del mondo arabo-islamico e dei gravi pregiudizi che da noi accompagnano l'immagine dell'altro. In particolare il tunisino Salah Garmadi in uno studio sul perché di tanto disinteresse e disinformazione da parte occidentale sugli arabi, citava una serie di esempi molto significativi estratti dai prestigiosi dizionari in Francia e in Gran Bretagna. E l'immagine affiorata era veramendi Isabella Camera D'Afflitto te sconcertante. Alla voce "Arabo", un'edizione del Larousse del 1866recitava: "Arabe, dal latino arabus. Abitante dell'Arabia o che ne è originario. Familiarmente uomo duro, avaro, che presta ad alto interesse, che vende a prezzi eccessivi la propria merce"; un'edizione del Larousse del 1928,modificava un po' questa dizione e aggiungeva: "Familiarmente: usuraio, uomo duro in affari. Fanatici musulmani, gli arabi sono i grandi propagatori dell'islamismo in Africa ... La filosofia araba è la filosofia greca in lingua araba". Un'edizione dell'Oxford Dictionary del 1959 diceva, tra l'altro, che arabo significa: "piccolo vagabondo senza casa, ragazzo di strada". Ma se questa è la situazione in due 2J paesi come la Francia o l'Inghilterra, bisogna dire che anche da noi le cose non sono andate meglio. Alla voce Arabia - "carattere e costumi", un dizionario geografico del secolo scorso (F. Predari - 1871)tra varie cose più o meno esatte dice: "gli arabi di fissa dimora sono più muscolosi che i nomadi, le donne hanno una forma mirabile e la loro bellezza si conserva più a lungo di quella delle femmine nomadi... L'arabo è impetuoso e trasportato dalla passione... Ma ciò che si rimprovera di più all'arabo è il suo ardore per la vendetta, la sua vanità, la fede ai talismani, la sua astuzia, e soprattutto la sua inclinazione al furto". Queste citazioni, che ci fanno sorridere, possono trovare una certa giustificazione solo perché lonta-

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