Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 15/16 - apr./mag. 1991

ic)-lJ, BIANCO l,XltROS.SO iii•iii•P deve tener conto chi vuole davvero capire cosa è realmente il mondo cattolico su questo punto, e non si accontenta di facili schematizzazioni e di strumentalizzazioni polemiche, come è successo quando si è confusa la posizione del mondo cattolico per esempio con quella del Pds, o quando si è affermato con leggerezza che ai cattolici, in blocco, "manca il senso dello stato", prendendo le posizioni di parti come se esprimessero il tutto, o all'opposto quando ci si è accaparrati la vicinanza al Papa per rafforzare certe scelte politiche di opposizione, magari lasciando sottolineare, ad uso interno, che questa vicinanza valeva "solo questa volta", e che alla prima occasione, giunta subito con le polemiche sull'Emilia, si sarebbe tornati alla rassicurante contrapposizione alle posizioni papali. La consueta "doppiezza" democristiana Vale la pena di insistere un po' sulla "doppiezza" della Dc. Essa le ha consentito, in questa come in altre circostanze, di mettere pubblicamente insieme con straordinaria disinvoltura posizioni che in altri partiti non parevano e non paiono assolutamente compatibili. È, possiamo davvero dirlo, un altro dei "capolavori" politici di questa Dc, che spiega molte cose, del suo passato e anche del suo presente. Da sempre la forza vera della Dc sta nel fatto che essa non si compatta mai, in senso stretto, su posizioni puramente ideologiche, o anche solo ideali, se non quando esse diventano anche scelte decisive in termini di potere. La saggezza democristiana ha sempre lasciato aperta una via al dissenso politico interno, salvo nel caso che mettesse in crisi la sua egemonia e la sua pretesa rappresentanza degli interessi e dei valori propri della Chiesa e dei cattolici come tali. Le divisioni, in casa Dc, sono sempre state ammesse, come componenti di un realismo che fa i conti con tutte le dimensioni dei problemi, e vede dove ci si può dividere e dove è necessario fare muro. In genere essa ha fatto muro solo su questioni molto concrete. Non lo ha fatto, ed è un esempio, su questioni come divorzio e persino aborto, in occasione dell'approvazione delle rispettive leggi e poi dei referendum. La Dc sapeva benissimo che al suo stesso interno alla posizione ideale unitaria non corrispondeva, né poteva corrispondere, una posizione politica unitaria, e allora ha adottato una "dupliI 19 Iscrizionedevozionale,EgittoXVIII secolo ce" tattica, di lungimiranza e di sopravvivenza nel consueto realismo dei suoi comportamenti. In ambedue i casi essa ha tenuto compatta la posizione "ideale", votando in Parlamento contro divorzio e aborto, e mettendosi cosi al sicuro dalle accuse dirette di tradimento dei valori "cattolici", ma si è ben guardata dallo spingere la sua scelta fino a contestare le due leggi all'origine, mettendo davvero in gioco il suo potere, per esempio provocando una crisi di governo. Si è limitata a votare contro le leggi proposte e approvate dalla maggioranza del Parlamento, quasi ammettendo che si trattava di provvedimenti dolorosi, ma forse inevitabili. E la cosa risulta chiara da un rilievo che pare elementare, e invece è stato sottolineato molto poco. Sotto la promulgazione della legge sull'aborto ci sono ben sei firme Dc, con in testa quella del presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, e in coda quella del presidente della Repubblica, Giovanni Leone. Avrebbero potuto dimettersi, i Dc, se avessero davvero considerato quella una "legge di morte", ma l'eroismo non rientra nei disegni del partito di maggioranza. Era, del resto, il terribile '78, e sarebbe stato difficile fare un altro governo a guida Dc, una volta urtati duramente gli altri partiti di governo, compreso il Pci che allora era nella maggioranza di fatto. Fu una scelta di compromesso, e non per nulla, - ed è il segno dell'abilità e del realismo ben poco idealistico -, anche la prima firma sotto la richiesta di referendum contro la legge sul divorzio fu, a Roma, proprio quella di Giulio Andreotti. Nella precedente firma,

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