itl!I, BIANCO l.XII, llos.50 iii•iil•P certa misura indispensabile per la elaborazione di una nuova cultura politico-sociale. Rimosse le vecchie ideologie, superate vecchie contrapposizioni, si tratta di lavorare per individuare e costruire una nuova base di riferimento etico-sociale per l'azione politica, ed a questo processo si partecipa alla pari, perché tutti hanno qualcosa da portare e nessuno ha risposte definitive. Il campo è molto aperto e le prospettive appaiono interessanti quanto fragili ed incerte: più che mai le scelte dei soggetti saranno determinanti in questi anni a definire gli esiti futuri della nostra realtà sociale. La ''doppiezza''doverosa Cattolicie Guerradel Golfo di Giovanni Gennari Mondo cattolico e Guerra nel Golfo. Si può davvero dire che questa guerra ha dimostrato una volta di più che la cosiddetta "unità politica" dei cattolici non esiste, o che, se esiste, essa non è davvero sufficientemente motivata con ragioni religiose, e non si esprime adeguatamente in scelte politiche unitarie vere e proprie. Vale la pena di ricordare le principali articolazioni con cui quello che viene indicato come "mondo cattolico" si è espresso a proposito di questa guerra. La "duplice" posizione di Giovanni Paolo II Il Papa, innanzitutto. Egli si è mosso, fino dall'inizio, su un piano che potremmo chiamare "di principio", politico ed etico insieme, dando per scontata la condanna dell'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq, che ha più volte espresso chiedendo con forza il ripristino della legalità internazionale, ma contemporaneamente sostenendo, e ribadendo con forza crescente che "comunque" la guerra non poteva essere la soluzione né di quello né di tutti gli altri problemi dell'area del Medio Oriente e di ogni area geografica. Di qui due conseguenze. Sul piano politico c'è stata subito una collocazione della Santa Sede dalla parte opposta a quella di chi aveva invaso il Kuwait, mentre sul piano etico c'è stata l'affermazione della immoralità della guerra come tale, e della sua inefficacia a risolvere i problemi sul tappeto, e in genere tutti i problemi dell'umanità contemporanea. È successo tuttavia che Giovanni Paolo II è parso tanto insistere su questo secondo aspetto del problema, quello della immoralità e inadeguatezza della guerra a risolvere i problemi, che l'opinione pubblica ha come messo tra parentesi il primo aspetto, e con una grande leggerezza, sia di certi movimenti politici e sociali che di certi organi di stampa, si è fatto apparire quasi un papa che difendeva Saddam e la sua prepotenza e che affermava un principio di condanna assoluta e senza alcuna eccezione di ogni possibilità di ricorso alla forza, quasi che l'unica risposta possibile fosse un vano appellarsi alla ragionevolezza di chi evidentemente non voleva in alcun modo essere ragionevole, per la semplice ragione che gli conveniva non esserlo, e con la forza otteneva ciò che con mezzi politici non avrebbe mai ottenuto. Questa interpretazione del pensiero della Santa Sede, tale da collocarla all'interno di un pacifismo assoluto e di principio, sarebbe stata propriamente una novità totale nella tradizione della chiesa cattolica. Chiunque l'abbia data ha sbagliato. Da sempre, e con esplicitazione aperta almeno dal quarto secolo, e fino al Concilio Vaticano II, i Papi, i Padri della
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