questi moventi occupano l'anima il pensiero si contrae su un punto del tempo per evitare la sofferenza e la coscienza si spegne, per quanto almeno lo consentano le necessità del lavoro. Una forza quasi irresistibile, paragonabile alla pesantezza, impedisce allora di avvertire la presenza d'altri esseri umani che soffrono, anch'essi accanto a te; è quasi impossibile non diventare indifferente e brutale come il sistema nel quale si è invischiati, e, reciprocamente, la brutalità del sistema è riflessa e resa sensibile dai gesti, dagli sguardi, dalle parole di chi ci sta intorno. Dopo una giornata passata cosl, un operaio si lamenta di una sola cosa, lamento che non giunge alle orecchie degli uomini estranei a quella condizione e che non direbbe loro nulla anche se vi giungesse: ho trovato lungo il tempo. [... ] Egli consuma nella fabbricatalora fino al limite estremo quel che ha di meglio di sé, la sua capacità di pensare, sentire, muoversi; le consuma, perché quando esce ne è svuotato; eppure non ha messo nulla di sé nel lavoro, né pensiero, né sentimento, e nemmeno, se non in una debole misura, movimenti determinati da lui, ordinati da lui in vista di un fine. La sua vita stessa esce da lui senza lasciargli intorno alcun segno. La fabbrica crea oggetti utili, non è lui a crearli, e la paga che ogni quindicina viene attesa facendo la coda, come un gregge (paga impossibile a calcolare in anticipo, nel caso del lavoro a cottimo, in seguito all'arbitrarietà e alla complicazione dei conti), pare più un'elemosina che il prezzo di uno sforzo. L'operaio, benché indispensabile alla fabbricazione, non vi ha parte alcuna e questa è la ragione per cui ogni sofferenza fisica inutilmente imposta, ogni mancanza di riguardo, ogni brutalità, ogni umiliazione anche leggera paiono ricordare che non si conta nulla e che si è estranei. [... ] Il tempo e il ritmo sono il fattore più importante del problema operaio. Certo, il lavoro non è il giuoco; è inevitabile e insieme opportuno che nel lavoro ci siano la monotonia e la noia; e poi non c'è nulla di grande a questo mondo, in nessun campo, senza una parte di monotonia e di noia. C'è più monotonia in una messa in gregoriano o in un concerto di Bach che in un'operetta. Questo mondo, nel quale siamo .P.V~ BIANCO l.Xlt HOSSO •Uitiii•Mkii caduti, esiste realmente; noi siamo realmente carne; siamo stati gettati fuori dall'eternità; e dobbiamo realmente attraversare il tempo, penosamente, un minuto dopo l'altro. Questa pena è la nostra eredità e la monotonia del lavoro ne è solamente una forma. Ma non è vero che il nostro pensiero è fatto per dominare il tempo e che questa vocazione deve essere preservata intatta in ogni essere umano. La successione assolutamente uniforme e insieme variata e continuamente sorprendente dei giorni, dei mesi, delle stagioni e degli anni conviene esattamente alla nostra sofferenza ed alla nostra grandezza. Fra le cose umane, tutto quel che è, in qualche misura, bello e buono riproduce in qualche misura questa unione d'uniformità e di varietà; tutto quel che ne differisce è cattivo e degradante. Il lavoro del contadino obbedisce per necessità a questo ritmo del mondo; il lavoro dell'operaio, per sua stessa natura, ne è largamente indipendente, ma potrebbe imitarlo. Nelle fabbriche accade il contrario. Anche nelle fabbriche si mescolano l'uniformità e la varietà. Ma questa mescolanza è l'opposto di quella che procurano il sole e gli astri; il sole e gli astri occupano le sedi del tempo con una varietà limitata e ordinata in regolari ritorni, sedi destinate a un'infinita varietà di eventi assolutamente imprevedibili e parzialmente privi di ordine; al contrario l'avvenire di chi lavora in una fabbrica è vuoto per l'impossibilità di prevedere, ed è più morto del passato per l'identità degli istanti che si succedono. Un'uniformità che imiti i movimenti degli orologi e non quelli delle costellazioni, una varietà che esclude ogni regola e quindi ogni previsione; ecco quel che produce un tempo inabitabile all'uomo, irrespirabile. Solo la trasformazione delle macchine può impedire che il tempo degli operai somigli a quello degli orologi. Ma non basta; bisogna che l'avvenire si apra di fronte all'operaio con una certa possibilità di previsione, perché abbia il senso di avanzare nel tempo, di andare, ad ogni sforzo, verso un qualche compimento. Attualmente lo sforzo che sta compiendo non lo conduce in nessun posto, se non all'ora della fine del lavoro. Ma siccome un giorno di lavoro segue l'altro, il compimento di cui si parla non è altro che la morte. 7J Aprire agli operai un avvenire nella rappresentazione del lavoro futuro, è un problema che si pone diversamente per ogni caso particolare. In senso generale la soluzione di questo problema implica, oltre la concessione ad ogni operaio di una certa conoscenza _del funzionamento d'insieme della fabbrica, un'organizzazione della fabbrica che consenta una certa autonomia dei reparti rispetto all'insieme e di ogni operaio rispetto al suo reparto. [... ] Tali riforme sono difficili, e talune circostanze del presente periodo ne aumentano la difficoltà. In compenso, l'infelicità era necessaria perché si sentisse che qualcosa mutava. Gli ostacoli principali sono nelle anime. È difficile vincere la paura e il disprezzo. Gli operai, o almeno molti fra loro, hanno acquisito dopo molte ferite un'amarezza quasi inguaribile, onde cominciano a considerare come un inganno tutto quel che viene loro dall'alto, soprattutto dai padroni; questa diffidenza morbosa, che renderebbe sterile qualsiasi sforzo di miglioramento, non può esser vinta senza pazienza e senza perseveranza. Molti padroni temono che un tentativo di riforma, qualunque esso sia, per quanto inoffensivo, porti nuove risorse agli agitatori, ai quali senza eccezione attribuiscono la colpa di tutti i mali in materia sociale, e che si rappresentano all'incirca come mitologici mostri. Hanno difficoltà anche ad ammettere che ci siano negli operai certe parti superiori dell'anima che, qualora fossero applicati stimoli adatti, agirebbero nel senso dell'ordine sociale. E quand'anche fossero convinti dell'utilità delle riforme indicate, sarebbero trattenuti da un'esagerata preoccupazione del segreto industriale; tuttavia l'esperienza avrebbe dovuto insegnare che l'amarezza e la sorda ostilità radicata nel cuore degli operai racchiude pericoli molto più grandi della curiosità dei concorrenti. [... ] Molto male è venuto dalle fabbriche, e nelle fabbriche bisogna correggerlo. È difficile, forse non è impossibile. Bisognerebbe anzitutto che gli specialisti, gli ingegneri e gli altri, fossero sufficientemente preoccupati non solo di costruire oggetti, ma di non distruggere uomini. Non di renderli docili, e nemmeno felici; ma solo di non costringere nessuno di loro ad avvilirsi.
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