i.)JLBIANCO lXltROSSO •IIIBHfiliiitiMhii Negozi ebrei dopo la "Notte dei cristalli" (1Onovembre 1938). di riarmo quale sarebbe necessaria nel caso in cui si scegliesse l'azione politico-militare nei confronti del Sud del mondo, sottrarrebbe risorse importanti e di fatto impedirebbe un'azione alternativa, quella basata sulla solidarietà e la cooperazione, che implica, al contrario, una riconversione della spesa militare e dell'apparato produttivo oggi indirizzato verso la produzione di sistemi d'arma, in direzione di programmi di sviluppo e ipotesi di riequilibrio dell'economia mondiale. L'economista americano Lester Thurow ha detto che la guerra attuale non costa, perché le armi e gli equipaggiamenti che vengono distrutti sono già stati finanziati negli anni scorsi. Il problema è però il futuro: se gli arsenali militari europei e americani saranno di nuovo riforniti e magari riprogettati per nuovi obiettivi, la spesa sarà enorme e stimolerà ancor più l'ostilità di paesi, ad alcuni dei quali arriverà probabilmente alla fine di questa guerra un messaggio intollerabile di oppressione e di impotenza. Né d'altra parte è possibile dimenticare almeno altri due significati di questa guerra che sconsigliano una ripresa della produzione di armamenti. Le armi italiane, francesi, tedesche, americane e dell'Est europeo che hanno costruito la potenza militare del regime iracheno, sono alla base del regime autoritario di Bagdad e probabilmente uno degli elementi di fondo che hanno determinato la volontà di espansione e di egemonia regionale di Saddam Hussein. Produrre armi e impostare una politica di confronto e di potenza con i paesi del mediterraneo porta inevitabilmente ad armarne alcuni contro altri, a favorire regimi militaristi, eserciti spropositati, egemonie dei militari nelle società locali. L'esempio della politica occidentale nei confronti dell'Irak è un esempio illuminante. D'altra parte i divieti alla esportazione non hanno mai impedito del tutto la diminuzione degli armamenti, soprattutto oggi che la loro sofisticazione è cosi avanzata e la loro efficacia dipende spesso da congegni elettronici o da sostanze chimiche utilizzabili a fini civili. I costi dei sistemi d'arma e la necessità di ripartirli, per poterli sostenere sono un incentivo potente ad influenzare politiche commerciali spregiudicate e suicide, come quello attuato dagli attuali paesi della coalizione nei confronti dell'Irak. Per concludere esistono forti indizi che il complesso industriale europeo e americano eserciti forti pressioni per rilanciare e riprogettare la produzione di nuovi sistemi d'arma. Le forze pacifiste e progressiste dovrebbero perciò cominciare ad orientarsi a contrastare queste intenzioni piuttosto che in ormai improponibili richieste del ritiro del contingente italiano nel Golfo. In ogni caso sembra necessario che la discussione sulla nuova strategia italiana ed europea avvenga pubblicamente e nelle sedi parlamentari, non sia cioè delegata, come è avvenuto in passato, nei corridoi del ministero della difesa in un dibattito riservato ai tre Stati Maggiori. Solo la sede parlamentare è in grado infatti non solo di commisurare la spesa militare rispetto agli altri capitoli di spesa pubblica, ma anche di avanzare ipotesi politiche alternative e probabilmente più realistiche ed efficaci come quella qui accennata. C'è forse da aggiungere che nei nuovi scenari all'Italia tocca una scomoda posizione di frontiera, collocata com'è al centro del Mediterraneo e che la crescente povertà deipaesi del Sud aumenterà i flussi migratori, mentre la loro frustrazione potrebbe tradursi non solo nell'attuale ostilità politica, ma anche incanalarsi in operazioni terroristiche pericolose e difficilmente controllabili. Ecco perché, invecedi pensare a costose ipotesi di riarmo, è necessario concentrarsi in uno sforzo di sviluppo che indirizzi le risorse europee verso obiettivi di riequilibrio economico.
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