sce con l'Unione Sovietica e, infine, per le forze politiche su cui poggia. La proposta che caratterizza la seconda opzione è di distacco totale dell'Unione Sovietica e di inserimento politico ed economico nell'Europa occidentale. L'aspettativa che questa suscita è quella di una rapida crescita del livello di vita baltico verso i livelli dei vicini paesi scandinavi o della Germania, basata su una ingenua visione della "bontà" del mercato e dell'aiuto dei paesi occidentali per questa operazione. L'idea di una visione ingenua, non economicamente ponderata di una crescita economica, viene confermata dalla proposta di espulsione della popolazione russa residente; a parte gli aspetti sociali e politici che siffatta proposta genera, significherebbe il drenaggio di "JtBIAI\CO lXltllOSSO •lii @41 iiiitiM Uh uno dei fattori economici più importanti oggi presenti e, potenzialmente, ancora più validi in una prospettiva di sviluppo economico. Le forze politiche su cui questa proposta poggia, e che oggi hanno la leadership in questi paesi, sono di tipo nazionalistico, portatrici di contenuti fortemente ideologici alimentati da frustrazioni storiche e personali di ceti medi che sperano in vantaggi relativi immediati derivati da una cooptazione nel sistema occidentale. Se questo è il quadro, necessariamente schematico per ragioni di brevità ma non privo di efficacia esplicativa su quelle che sono le alternative reali possibili, quali conseguenze se ne possono ricavare per esercitare una influenza corretta su questi sviluppi? Mi sembra che la più importante sia quella di stabilire un dialogo sincero e onesto con queste forze politiche nazionali, non solo strumentale ed altri interessi e strategie internazionali (rapporti conl'Urssecc.). Sitratta cioè di spiegare che il sistema democratico che queste invocano non può fondarsi su un atto di discriminazione verso 1/3 o la metà dei cittadini (i russi!) con misure di privazione dei loro diritti civilie democratici. Inoltre, che ogni idea di cooptazione nel sistema economico di mercato e capitalistico occidentale, che non si basi su una analisi attenta del contributo economico e produttivo che i paesi baltici possano apportare è una grande illusione che annuncia fallimenti e frustrazioni per questi paesi peggiori di quelle del passato. Le armi e il dopoguerra T ra i tanti e spinosi problemi che porrà il dopoguerra nel Golfo, un'importanza particolare assumerà quello relativo alle politiche degli armamenti e più in generale i nuovi assetti militari, le nuove alleanze che tenderanno a formarsi al Nord come al Sud del mondo, probabilmente anche lontano dalla zona oggi investita dalla guerra. In vista di questa discussione sembra utile approfondire il significato e l'impatto che hanno avuto e potrebbero avere le politiche degli armamenti nei prossimi anni, al fine di contribuire a costruire una posizione razionale delle forze di sinistra nel nostro paese. Tralasciando per il momento di approfondire il difficile tema delle alleanze e delle loro nuove funzioni, sembra però chiaro che a prescindere dalla loro evoluzione si sta sviluppando un'ipotesi di riarmo italiano basato sui nuovi obiettivi strategici fatti emergere dalla guerra del Golfo. In alcune dichiarazioni di responsabili politici della difesa, nella decisione -- - - - - - -- - -- - - - di Mario Sepi di congelare la nuova legge sul commercio delle armi e di non procedere alla discussione dei progetti di riconversione delle industrie militari, negli atteggiamenti di alcuni esponenti militari e nelle analisi della stampa più legata agli ambienti dell'industria delle armi si delineano dopo alcuni anni di relativa quiete se non di rassegnazione, nuove ipotesi di riarmo, magari riesumando alcuni progetti caduti nel dimenticatoio, grazie alla lenta erosione a cui era stata sottoposta la spesa militare. Spira aria di leggi speciali, come quelle per l'aereonautica e la marina degli anni '70. Il ragionamento che sottende questa ipotesi, è quello che il paese deve dotarsi di sistemi d'arma congrui con una nuova strategia di confronto politico-militare in rapporto alle presunte nuove minacce provenienti dai paesi in via di sviluppo, nel mediterraneo del Sud e del Medio Oriente, simile a quella dispiegata nei confronti dei paesi comunisti. È un'ipotesi preoccupante nel piano politico, (18 ma soprattutto controproducente in termini di sicurezza. Le minacce che vengono dal Sud sono infatti ben diverse da quelle del confronto di sistemi economico-sociali alternativi che motivavano la Nato e il Patto di Varsavia. Sono infatti minacce che derivano dalla crescente ostilità nei confronti dei paesi ricchi da parte di popolazioni che si sentono a ragione sfruttate dall'attuale modello di sviluppo planetario determinato dai paesi più potenti, sono minacce che derivano dal consolidarsi nei Paesi in via di sviluppo di dittature militari favorite dal crescente impoverimento di questi popoli, sono infine minacce che derivano da problemi non risolti, come quello palestinese o quello curdo, quello cambogiano o quello del Corno d'Africa per mancanza di interesse da parte del Nord del mondo. Il dispiegamento di nuovi sistemi d'arma, il riarmo dell'Europa non servono a scoraggiare queste minacce, anzi acuiscono le frustrazioni e gli impulsi alla ribellione. Allo stesso tempo una forte politica
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