Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 14 - marzo 1991

la parola d'ordine del "fare senza" o "fare contro" il sindacato. Alle origini delle difficoltà del sindacato stanno due ordini di cause o di problemi. Proprio perché un primo gruppo di problemi è stato trascurato, il secondo è stato fin troppo enfatizzato. Nel primo gruppo stanno i grandissimi cambiamenti che hanno investito la cultura, la mentalità, i comportamenti degli uomini, delle donne, dei giovani e degli anziani di questo nostro paese come di altri paesi, le straordinarie trasformazioni che la rivoluzione scientifica e tecnologica ha indotto nel lavoro, nelle imprese, nei servizi, nei modelli di consumo, nell'organizzazione sociale. E tutto in pochissimo tempo, con una rapidità impressionante. Il sindacato italiano non è un piccolo club di amici: per milioni di donne e uomini, con storie e culture decennali, con valori e criteri di giudizio sedimentati, talvolta anche ossificati, i cambiamenti così profondi, così rapidi non hanno operato tutti allo stesso modo, nella stessa misura, con gli stessi effetti. Come tenere insieme tutto ciò, come capire e gestire il cambiamento? E come gestirlo di fronte ad un sistema politico senza ricambio, e ad una imprenditoria che nei suoi gruppi egemoni ancora non ha fatto proprio il compromesso tra capitalismo e democrazia? Come dimenticare la cecità del sindacato di fronte alle nuove figure professionali emergenti, e l'uso che ne fecero gli imprenditori e molte forze politiche contro il sindacato nei primi anni '80? Si potrebbero fare centinaia di tali esempi. Su questo si sono innestati gli errori del sindacato, l'atteggiamento chiuso al nuovo, un conservatorismo di fondo propagandato per antagonismo, contrapposto spesso ad un modernismo verboso e vuoto, le carenze drammatiche di autonomia culturale, progettuale, professionale, prima che politiche. Queste mi paiono le cause. Molte, non tutte, permangono ancora. Nessuno può illudersi di risolvere da solo, o come gruppo o categoria, questioni fondamentali che sono di tutti. Nessuno può illudersi di poter usare per lungo tempo, contro altri lavoratori, o contro i cittadini indistintamente, condizioni di vantaggio, di potere e di i.)!I. BI.\~CO lXII.HOSSO 1111 #hld La sinagoga di Francoforte (1927). privilegio. Nessuno può illudersi di non dovere prima o poi misurare a proprio danno l'assenza di regole, di principi, la legge di chi è più forte in quel momento, l'assenza di elementari principi e doveri di solidarietà. Sono tanti, ma tutti leggibili o riconducibili ad una sola chiave di lettura: estendere, sviluppare la democrazia che è potere e responsabilità, riformando in tale senso l'impresa, l'economia, la società, le istituzioni della politica, ridando senso e valore al lavoro, al lavoro per tutti, e quindi riformando in tal senso anche il sindacato, le sue politiche rivendicative allargando spazio e potere contrattuale nei luoghi di lavoro, a livello sociale decentrato, riconsegnando ai lavoratori il diritto certo di eleggere i loro rappresentanti, che è un loro diritto non revocabile da nessuno. E infine o prima di tutto rendere leggibile in ogni obiettivo del sindacato, in ogni scelta, in ogni azione, il principio e il valore della solidarietà. Le straordinarie possibilità offerte dalla tecnica e dalla scienza, il crollo del muro di Berlino, la messa in valore delle differenze a partire dalla rivoluzione femminile, !'"evento" di società multietniche e multirazziali, questi e altri fenomeni possono scadere in piccoli o grandi egoismi, possono far emergere il razzismo, possono creare poteri oligarchici e ridurre la democrazia, possono creare nuove e più sofisticate forme di dominio e di oppressione, nuove povertà, nuove emarginazioni. Ma possono anche riaprire nel mondo uno straordinario processo di liberazione umana, ridare voce e speranza agli uomini e alle donne del Terzo e Quarto mondo, creare una società più giusta, più solidale, più uguale, nelle società sviluppate come la nostra. Perché non provarci? Più che le vecchie divisioni, che nei loro tratti di fondo possedevano una sanzione riconoscibile nella storia, mi preoccupano le nuove divisioni che molte volte il ceto sindacale produce o alimenta per pura conservazione o per incrementare piccole rendite di posizione. Quindi si legittimano sempre meno. Anche per questo e soprattutto per quanto ho detto alla precedente risposta, l'unità si ripropone. Molto c'è da cambiare. Per brevità, dico una sola cosa: un processo unitario è possibile, cioè è possibile una sorta di autoriforma, se si riguadagna autonomia attraverso un grande rilancio dei poteri, delle prerogative dei lavoratori sui luoghi di lavoro e a livello territoriale decentrato. Se in buona sostanza ci si affida con coraggio ad un processo di riforma di cui l'espansione della democrazia è l'idea guida e l'obiettivo, la solidarietà e il valore che lo permea.

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