aperta, nonostante incompiutezze che - consentano i compagni socialisti - comunque non sarebbero risolte oggi dalla adesione dichiarata a quel passepartout che è il "riformismo". Si apra dunque la linea di credito, con realismo e prudenza su questioni essenziali {)!I, BI.\\CO lXII.HOSSO · u 1#1hliJ (autonomia, concezione della democrazia sindacale, sugli orientamenti programmatici e così via) ma si tenti il passo avanti. I tempi dell'attuale dialogo unitario, defatiganti e di basso profilo, non coincidono con i bisogni della gente e con le grandi questioni del paese. Se non si apriranno, e presto, prospettive al processo unitario, meglio allora è che ci si assumano nuove responsabilità e si riapra una competizione a tutto campo, aperta e leale quanto creativa. Per un "salto di qualità" ' E innegabile che il sindacalismo confederale stia attualmente attraversando un momento di crisi. Ma io parlerei più di una pausa di riflessione che prepara nuovi sviluppi, che di vera e propria crisi. Si sta infatti evolvendo ciò che finora è stato il naturale "modus vivendi" del sindacato. Negli anni '60 abbiamo vissuto la stagione rivendicativa, non solo di specifici diritti, ma dello stesso diritto di esistere e di contare qualcosa nel sistema economico e sociale del nostro Paese. Abbiamo a fatica lavorato per conquistare un diritto di cittadinanza che oggi ci pare riconosciuto a pieno titolo. Ma tutto ciò adesso non è più sufficiente. Dobbiamo fare un salto di qualità in una direzione senzaltro significativa della tutela degli interessi globali dei lavoratori, e non solo di essi. Bisogna capire che se siamo forti soltanto nel rivendicare salario, orario, magari diritti, ma incapaci di incidere sul governo generale dell'economia, sulla politica fiscale e sulla gestione dello stato sociale, la posizione di chi rappresentiamo, i lavoratori, già anello debole della catena, ne esce comunque indebolita. Essere interlocutori validi del Governo - validi per forza e qualità della proposta - per un'efficace politica dei redditi, è un compito che ci sta coinvolgendo da un po' di tempo. È una strada che percorriamo partendo dal presupposto che lo sviluppo del benessere collettivo o tocca direttamente tutti, se pur in diversa misura, o non è di Augusta Restelli reale progresso. La frammentazione e segmentazione della società degli anni '80, ha tutt'altro che facilitato il diffondersi di questo concetto. Ha imperversato la cultura dei particolarismi, qel "fai da te", del "chi grida più forte ottiene di più". In questa logica dominante si sono inseriti i Cobas, e i vari sindacati autonomi che, pur partendo talvolta da esigenze giustificate e comprensibili, si sono mossi però per soddisfare un determinato problema dimenticando il quadro generale della situazione. Ora, il criterio di trovare soluzioni tappabuco non può che essere parziale e difficilmente gestibile. Ecco perché, invece, la confederalità non solo non ha motivo di temere una crisi che possiamo giudicare fisiologica, ma deve ritenersi la risposta giusta agli squilibri esistenti. Occorre allargare la tutela innanzitutto a chi si trova in una posizione di difficoltà (i lavoratori precari, quelli delle aree deboli come il Mezzogiorno), ma anche a chi è emarginato dal sistema: esempio i disoccupati, gli handicappati, gli anziani. Sono convinta che saremo capaci di difendere meglio gli interessi dei nostri rappresentanti guardando al di là del1'orizzonte immediato delle richieste, per tracciare progetti più vasti di governo dell'economia. Un modo di pensare che non pratica chi invece si adatta a ritagliarsi la propria fetta di potere per attestarsi lì e difenderla o accrescerla. Ma c'è anche un altro discorso da 57 fare, a testimonianza di quanto la crisi che la confederalità sta attraversando sia piuttosto somigliante al travaglio di un parto (il nuovo che nasce), che non gli acciacchi della vecchiaia (il viale del tramonto). È la logica partecipativa, di cui siamo fieri propugnatori. Nell'epoca delle grandi trasformazioni industriali, iniziata nello scorso decennio ma non ancora conclusa, laddove si sono introdotti non solo macchinari nuovi e nuove tecnologie, ma spesso nuove filosofie di lavoro, si è visto quanto importante sia la partecipazione, intelligente e non passiva, del lavoratore. Solo un sindacato capace di pensare in grande è capace di inserirsi positivamente in una trasformazione così radicale del mondo del lavoro. Abbiamo, ad esempio, un forte gap da recuperare per essere presenti in quei settori di nuovo sviluppo come il terziario o il quaternario (o terziario avanzato) che finora ci hanno visto assenti. Col passare del tempo avremo sempre meno operai e sempre più tecnici e specializzati. Occorre perciò che la nostra attività di sindacalizzazione sia tesa anche e soprattutto alla valorizzazione della risorsa umana: intelligenza, creatività, capacità di lavorare in gruppo, disponibilità al cambiamento. È un discorso che va fatto non solo per le questioni concernenti il salario o la qualifica professionale, ma più per un generale riconoscimento dello specifico esistenziale di ciascuno. Deve essere questo il discorso attraverso cui si
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