Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 14 - marzo 1991

paese come dell'Europa intera, trasformandosi ancora in libero e democratico mercato, in società di uguali in quanto partecipanti alla sua costruzione, di cittadini senza altro titolo a partecipare che la cittadinanza. Libera e democratica società di mercato, Europa dove la solidarietà deve essere dovere, come dovere e diritto è il lavoro. Ancora più esplicitamente occorre scegliere lo schieramento politico, quello di chi si batte per l'allargamento degli spazi di democrazia per tutti, nei luoghi di lavoro, nella comunità, nello stato nazionale oggi e federale europeo domani. Il terreno di impegno confederale, di confronto e di conquista sociale, non antagonistico al mercato e all'impresa, che anzi tende a rendere più funzionale e competitiva sui mercati, coniugando partecipazione democratica e quindi consenso con l'efficienza e la qualità necessari sia all'impresa privata che pubblica. Non antagonisti dello stesso stato in quanto istituzione sempre informale, anch'esso, aimè, in crisi di consenso democratico fra i cittadini. L'antagonismo è invece nei confronti del conservatorismo: di destra, di centro o di sinistra che sia e ancor più nei confronti di quella visione politica mercantilista e liberista che nega il valore sociale come valore primario, nega la solidarietà come cemento civile ed affida, tutt'al più alla virtù "taumaturgica" del mercato, del capitale creatore di ricchezza, lo spontaneo risolversi delle contraddizioni e delle crisi eventualmente esplodenti nella società e nelle nazioni in competizione capitalistica. La politica rivendicativa va quindi indirizzata in misura molto maggiore del passato a questo obiettivo vitale non solo per il sindacato. Penso a rivendicazioni settoriali-categoriali che convisioneeuropea chiedano maggiori diritti di partecipazione e spazi contrattuali continentali al livello dei grandi gruppi, a rivendicazioni confederali di sollecitoai governi e agli imprenditori per l'attuazione di un vero spazio socialecon leggi e regole europee per l'armonizzazione sociale, uno spazio contrattuale confederale all'altezza del governo nuovo che l'Europa dovrà darsi, per creare al sindacato le condi- _p.tJ, BIANCO lXII, BOSSO 1111 #hiii Amsterdam, 1934 Anna con un'amica. zioni di essere interlocutore rappresentativo e credibile di un Parlamento Europeo con poteri legislativi e di istituzioni comunitarie di governo federale, come sono in discussione nelle conferenze intergovernative iniziate nel dicembre '90 a Roma. Un sindacato in grado di intervenire efficacemente sul grande mercato del lavoro europeo, altrimenti in mano ai singoli governi e alla sola speculazione mercantile. Non dimentichiamo che il fall.i.mento sociale dell'Europa sarebbe il fallimento dell'idea Europa, della sua unità politica. Il rischio è reale, il pericolo incombente, con ricadute devastanti sui singoli paesi anche su quelli che più avanti sono nelle conquiste sociali. È una battaglia che può davvero dare nuovi motivi e valori, anima, al lavoro dei militanti sindacali. È battaglia politica per un modello sociale, per una democrazia sociale, da costruire in Europa e nei singoli paesi, dall'esito tutt'altro che scontato e che ancora non ha avuto la possibilità di un confronto vero, aperto, nemmeno fra confederazioni sindacali che pure formano la Ces (38 confederazioni di 22 paesi) a cui si aggiungeranno presto, auspicabilmente, le organizzazioni rinnovate dei paesi dell'ex Est europeo. Si impone, urge, un grande confronto democratico, nel quale vanno coinvolti i lavoratori, i cittadini di questa nuova Europa, che non si sentono cittadini europei perché non c'è ancora la cittadinanza europea e il mercato da solo per quanto "grande" non è una patria nuova in cui sentirsi solidali e fratelli. Per tutto questo non sono più legittimabili agli occhi dei lavoratori le vecchie divisioni fra le confederazioni nazionali, o meglio, non lo sono, se questa scelta di costruire insieme un progetto di democrazia solidale, senza sogni di egemonia classista e senza egoismi nazionalistici, localistici e corporativi o peggio partitici, è accettata dai gruppi dirigenti dell'attuale sindacalismo confederale. Dico gruppi dirigenti perché a mio avviso i lavoratori e i cittadini sono ormai pronti ad un simile cambiamento, se la sfida dovesse essere raccolta in positivo da Cgil, Cisl, Uil il consenso sarebbe altissimo, soprattutto se sarà accompagnato dalla fine, dal taglio, degli ultimi cordoni ombelicali con i partiti, se avverrà sotto il segno del1'autonomia. L'alternativa negativa potrà essere o la divisione permanente, nemmeno mediabile con l'attuale capacità di unità d'azione (simile cioè alla situazione francese) od il moltiplicarsi di forme di associazionismo sindacale o professionale (simile a quello ormai in corso sul versante partitico), comunque la messa in mora per chissà quanto tempo di ogni ipotesi di confederalismo sindacale unitario. Non mi scandalizza il pluralismo sindacale, anzi, ma è certo che la battaglia sarà più difficile e gli esiti più problematici per chi crede in un modello di società in cui non vengano meno determinati valori di solidarietà. Anzichè avere un sindacalismo confederale italiano in grado di contribuire autorevolmente al grande dibattito sull'Europa sociale, ognuno di noi cercherà alleanze e sintonie politiche e ideali con altre organizzazioni sindacali europee e forse, anzi, quasi certamente, il rischio di divisione sindacale già presente in Europa aumenterà irrimediabilmente.

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