sogni, se vende certi prodotti. La seconda cosa importante che deve fare il sindacalismo confederale - vado per grandi linee - è tentare di liberarsi dall'abbraccio soffocante dei partiti. Oggi se c'è una entità squalificata e squalificante in Italia sono i partiti e gli uomini che li rappresentano. Il sindacato che entra ogni primo settembre nel risibile talk-show delle trattative per la finanziaria, cade sempre più vittima di questo abbraccio squalificante. Nel nostro paese il sindacato si è sempre mosso come un pendolo tra le suggestioni del sindacato-movimento e le tentazioni del sindacato-istituzione. In questo momento, in cui la credibilità e la dignità delle istituzioni sono prossime allo zero, il modello del sindacato-istituzione è la condanna. È chiaro che abbandonare questo modello significa perdere tante posizioni di rendita utili nell'immediato - che tragedia non avere più le presidenze dell'lnps ! non andare più a quei begli incontri dal ministro Pomicino! non partecipare più a tutti quegli show a palazzo Chigi con la televisione che ti domanda ansiosamente com'è andata! - ma di cui il sindacato deve liberarsi i>ll. Bl.-\~CO lX.11. nosso •it•ihld senza rimpianti se vuole sopravvivere così come chi è buttato fuori dalla barca in alto mare deve liberarsi senza rimpianti di scarpe, vestito e portamonete se vuole evitare di andare subito a fondo. Solo, ripeto, ritornando coraggiosamente al vecchio modello del sindacato-movimento, del sindacato forza alternativa, le tre confederazioni potranno non dico rilanciarsi, ma affermare il loro diritto ad esistere. Certo, anche l'unità è una delle condizioni; ma, come sempre, una cattiva unità è peggio di una buona divisione. Voglio dire che se una parte del sindacato volesse trasfondere nella struttura unitaria l'orgogliosa illusione di dover sopravvivere così com'è "perché superiore'', e la convinzione che i nostri guai sono colpa delle controparti ambigue e meschine, le prospettive di vita nel neonato non sarebbero migliori di quelle dei vecchi genitori. Meglio, in questo caso, restare ognuno per proprio conto. Piuttosto, vorrei chiudere permettendomi di sottolineare un certo dissenso da quanto suggerito in un'altra domanda. "Quali valori, si chiede, e quali ambizioni possono animare l'impegno dei dirigenti e dei militanti?". Domanda che ripropone, se non mi sbaglio, la vecchia abitudine di cercare dei fini trascendenti - la presa del palazzo di inverno, la fine delle diseguaglianze - per il nostro agire quotidiano. Mi viene in mente la risposta che dava Giorgio Bocca proprio ieri al Presidente della Repubblica che, a proposito dei carabinieri di Bologna, si domandava: "È giusto voler morire per la Patria?". Ma lasciamo in pace i massimi sistemi, diceva Bocca, qui nessuno vuol morire, si tratta di sapere che scelto un mestiere ci sono certe responsabilità e certi rischi, tutto qui. E allora, in un sindacato che ritorni semplicemente a fare il suo mestiere, dovremmo semplicemente contentarci di avere scelto - come dirigenti e come militanti - di realizzarci nel mestiere del sindacato. Con le responsabilità e i rischi che di questo mestiere fanno parte. Con l'ambizione di riuscire a far sì che la tessera del sindacato rappresenti un valore aggiunto concreto rispetto ai contributi pagati dagli iscritti. Un po' poco? O un po' tanto? Unità e diversità: la via per la Confederazione M i sforzerò di citare solo alcuni dei motivi per i quali ritengo indispensabile ed insostituibile il ruolo di un sindacato unitario confederale. È quasi un ritornello comune, ormai scontato: l'essere arrivati ad un-punto di svolta, la necessità ineluttabile di riconversione, l'obbligo alla rifondazione. Sono pezzi di frasi che a seconda dell'ambito in cui si usano, ambiente, industria-produzione-economia, sindacato-partito-movimento politico, di Luisa Gnecchi assumono significati diversi, possono essere carichi di contenuto, a volte ideale anche emotivo, a volte tristemente rituali o nella ricerca di evadere il problema per rimandarlo alla puntata successiva. Se vogliamo affrontare anche all'interno del sindacato "il futuro", alcune considerazioni che determinano il "dover cambiare" vanno fatte. Al cambiamento siamo chiamati tutti, e si tratta più che di cambiamento di una rivoluzione individuale, collettiva, istituzionale; ricordo l'appello della marcia della pace di Assisi del 7 ottobre 1990: "In cammino per il nuovo mondo. A ognuno di fare qualcosa". Sembra quasi che il messaggio sia sbagliato grammaticamente, e fuori luogo per il sindacato, invece trasmette la necessità che ognuno di noi, là dove si trova, agisca per creare una cultura di rispetto reciproco. Per contrastare le guerre, lo riavver-
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