Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 14 - marzo 1991

.i)_lJ, UIANCO lXll,llOSSO •h•#hld Liberarsi del complesso di superiorità A nche a voler ammettere che il sindacalismo - senza aggettivi - non sia finito, c'è indubbiamente il rischio che ad essere vicina alla fine sia quella particolare esperienza del sindacalismo italiano che noi chiamiamo confederale. Alle origini di questa crisi ci sono numerosi fattori, in buona parte efficacemente tratteggiati nella introduzione al questionario: ''l'incapacità di elaborare un grande disegno di azione sindacale nella logica confederale"; l'espandersi delle tendenze corporative. Non metterei però tra questi fattori "i comportamenti ambigui delle controparti pubbliche e private", perché mai le controparti non dovrebbero avere il diritto di essere ambigue? Nel tentativo di leggere le motivazioni di questa crisi del modello confederale cercherei d'altra parte di evitare il ricorso a categorie morali, come si fa abitualmente quando si parla di tendenze egoistiche dominanti e di fine del solidarismo. Il vero solidarismo, quando è esistito, si è basato non certo su imperativi di carattere morale o religioso ma sulla esistenza di un nucleo forte di interessi comuni, incentrati nella figura dell'operaio-massa, e su un supporto ideologico che vedeva nella lotta sindacale uno degli strumenti per costruire un più giusto sistema sociale e politico. Questi due collanti del solidarismo, quello materiale e quello ideale, sono entrambi entrati in crisi, in parte (quanto al primo) come risultato delle nostre stesse lotte, in parte come conseguenza di una scomposizione progressiva del modello sociale e produttivo. La scomparsa dell'operaio-massa ha portato alla fine del sindacato-massa, la frammentazione delle figure profesdi Giancarlo Pomari sionali e delle posizioni individuali e quindi degli interessi individuali ha portato alla difficoltà se non alla impossibilità di costruire strategie rivendicative di interesse generale e di largo respiro. Il resto lo ha fatto la crisi delle ideologie e in particolare di quella comunista. Si potrà dire tutto il male che si vuole del vecchio partito comunista, ma è indubbio il ruolo determinante che esso ha avuto nel creare una forte spinta di identificazione nel sindacato, una forte coscienza degli interessi comuni e, diciamolo pure, uno spirito di fervente "adesione alla linea" indispensabile in qualunque organizzazione, anche la più democratica. Non a caso questa spinta alla identificazione comincia a venire meno nell'84 quando per la prima volta, con l'avvento di Craxi alla Presidenza del consiglio, una grossa fetta del movimento fuoriesce da quel ruolo di oppositore politico che dal '70 all'Assemblea dell'Eur aveva oggettivamente reso l'azione del sindacato funzionale alla svolta di sistema che il Pci si proponeva di realizzare. La crisi del comunismo internazionale ha poi ulteriormente accelerato questo processo di dislocazione. I cambiamenti oggi indispensabili per un rilancio del sindacalismo confederale sono molti, e tra questi io metterei al primo posto - se mi è permessa la provocazione - la necessità di abbandonare una mentalità come quella che ha portato a formulare la domanda n. 3. Se il sindacalismo confederale pensa di dover continuare ad avere un seguito perché è "superiore", allora vuol dire che è proprio condannato al1'estinzione. Il darwinismo della storia non conosce la categoria della superiorità, ma solo quella della capacità di sopravvivere. L'impero romano era "inferiore" alle tribù dei barbari? La tigre dai denti a sciabola era "superiore" o "inferiore" alla iena? Non lo so, so solo che la stupenda tigre dai denti a sciabola la troviamo nei musei di storia naturale, e la iena ridens sta ancora tra noi. lo non parlerei di superiorità o inferiorità, parlerei di organismi che hanno un senso in un dato contesto, e di altri che non lo hanno, o non lo hanno più. In un certo ambiente politico e sociale - diciamo, nell'Italia di Pelizza da Volpedo o della ricostruzione o del '68 - il sindacalismo confederale aveva un suo senso e una sua ragione di essere. Rispondeva a certi bisogni collettivi. Ha ancora senso nell'Italia delle Leghe? Da' ancora delle risposte in una società così cambiata? lo credo insomma che se il sindacalismo confederale vuole sopravvivere, deve prima di tutto spogliarsi di una certa mentalità che, questa sì, rischia di essergli fatale. Deve spogliarsi della convinzione che basti essere buoni, e quindi "superiori", per guadagnarsi il diritto ad esistere. Che basti fare appello ai buoni sentimenti (l'equità, il solidarismo, il pacifismo, l'antirazzismo, l'egualitarismo) per avere della gente dietro di sé e per rispondere alle loro aspettative e ai loro bisogni. Che basti inalberare il proprio pedigreeper sentirsi dare ragione. Che esistano ancora e sempre dei "superiori interessi generali", di cui lui - noi - siamo portatori e interpreti per una speciedi investitura ricevuta una volta per tutte. Insomma, il sindacalismo confederale deve capire che sta su un mercato e non su un piedistallo; e che può rimanere dentro questo mercato solo se assolve a certe funzioni, se risponde a certi bi-

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