~!I, LU\ \CO ~Il. B<)SSO 11 r#19 i Iii Coniugare autonomia e vincolo unitario Interrogarsi sul futuro dell'unità sindacale in Italia oggi è un'impresa assai complessa. Se si vuole essere onesti con se stessi, bisognerà ammettere che accanto a segnali incoraggianti nuovi, persistono vecchi problemi e chiaroscuri non risolti. Sono sicuramente chiari i primi: l'esigenza di far vivere con più forza l'idea forza della solidarietà di fronte al crescere dei particolarismi, dei corporativismi, dei leghismi; la presa d'atto che le divisioni indeboliscono ruolo e funzione del sindacalismo confederale. Sono al tempo stesso evidenti anche i secondi: il persistere di divari nella politica rivendicativa, di problemi sul terreno dell'autonomia culturale e politica, di difficoltà sulla costruzione di un reale progetto culturale unitario. Sembra, cioè, che mentre da un lato sia assunta la portata negativa della mancanza di unità da parte di tutti, stenti dall'altro a prendere corpo e forma un'idea forte dell'unità, dei valori che la debbono sostenere, dei vincoli che ne derivano. L'autonomia è il primo nodo tuttora aperto. Gli anni '80, con il loro carico di divisioni e di lacerazioni, consegnano a chi intenda proporsi una svolta sul terreno dell'unità problemi insoluti. Non c'è dubbio che l'autonomia sia condizione ed effetto dell'unità. Senza autonomia non si fonda una durevole stagione di unità sindacale, e questa a sua volta è anche garanzia di un progredire dell'idea e della pratica unitaria. Ma sono pienamente autonome oggi la Cgil, la Cisl e la Uil? Sono realmente le tre Confederazioni impegnate a superare quel deficit di autonomia verso partiti e istituzioni che ne segnano la vita e le prospettive? Prendiamo il caso della Cgil. Lo scioglimento della componente comudi Guglielmo Epifani nista ha costituito sicuramente un passo importante in questa direzione. Ma lo scioglimento è insieme condizione necessaria e sufficiente di questo processo. O non si dà il caso che siamo di fronte ad un punto di partenza che però non risolve, di per sé, tutti i problemi? E anche per la Cisl e per la Uil: siamo sicuri per tutti gli approdi dell'autonomia siano stati raggiunti, e non permangono tuttora prassi e scelte da compiere? La stessa politica rivendicativa propone problemi aperti. È vero ad esempio che nelle ultime vicende contrattuali e nella partita a parte in tema di pubblico impiego l'unità dai risultati e dalle proposte è stata assai alta, tranne forse il contratto dei metalmeccanici. Ma come non vedere che sui temi come la concertazione, la democrazia economica e industriale, la riforma della contrattazione del salario, posizioni e culture diverse ancora esistono, talvolta anche dentro le stesse singole Confederazioni. Infine, anche sul tanto discusso tema della rappresentanza e della rappresentatività, la ricerca di un'intesa sulle regole, sui poteri della rappresentanza unitaria di base stenta ad andare avanti, malgrado l'affermata volontà di tutte e tre le Confederazioni di non rassegnarsi all'impotenza e di continuare a lavorare per trovare un'intesa endosindacale capace poi di essere sostenuta e generalizzata in sede legislativa. Può sembrare che queste osservazioni, ed altre che se ne potrebbero aggiungere, siano segnate da un eccesso di pessimismo circa la prospettiva dell'unità. A ben vedere, esse possono essere bilanciate dalle ragioni che ci sono e spingono nella direzione opposta. Il sindacato confederale italiano, malgrado l'emergenza delle tante insidie che ne minano l'autorevolezza, registra un aumento di iscritti e di adesioni; il suo potere negoziale si mantiene alto; il suo ruolo di interlocutore verso il sistema delle imprese, dello Stato, e delle forze politiche, rilevante. Si può stare in Europa senza un sindacato ancora più autorevole e unito? Si può pensare a un futuro in cui la disciplina collettiva, la norma generale di regolazione, vengano sottratte ai soli soggetti titolari di questo ruolo? Si può ritenere che la promozione dei diritti, anche di quelli individuali, possa determinarsi al di fuori di sedi autorevoli di mediazione e di compensazione tra sfere talvolta confliggenti di poteri, interessi, diritti? Ci sono quindi, accanto a un realismo delle prospettive che non deve venir meno, ragioni forti per una speranza meno volontaristica e fondata. Vi sono anche dei banchi di prova ravvicinati per comprendere se queste ragioni prevarranno sui problemi della divisione. Il negoziato di giugno sulla riforma degli assetti, regole e ambiti della contrattazione, la via della riforma del rapporto di lavoro nell'area pubblica, la possibilità di concludere con una intesa il dialogo aperto sulle regole della rappresentanza, sono altrettante cartine di tornasole di questa prospettiva. Ma anche per dare risposta positiva a queste scadenze, occorre ricordare che l'unità deve essere assunta anche come vincolo. Un vincolo che obbliga ciascuno a rinunciare a qualche elemento della propria identità per favorire il valore dell'unità. Al fondo del rilancio della cultura unitaria questo valore e questo vincolo restano come premesse indispensabili.
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