.P.t.l. BIANCO \Xli.ROSSO Ui•ii••ii Pds: il "nuovo" che deve crescere di Enzo Mattina N on è politicamente conveniente e non è storicamente corretto liquidare, come da più parti si è fatto, il primo congresso del Pds come episodio di modesta portata, poco influente sul destino del nostro paese. Per questa via si condanna l'Italia all'egemonia permanente della Dc e si nega alla sinistra finanche la prospettiva di una alternativa di governo. Per altro verso, non si coglie il dato della chiusura di un lungo capitolo di storia da parte di un grande partito di massa che ha avuto una influenza non secondaria, nel bene e nel male, nello sviluppo della vita democratica nazionale. Se giudichiamo con serenità dobbiamo convenire che a Rimini si è consumata una svolta, a partire dalla quale dovranno certo lavorare sodo gli ex comunisti per costruire il loro punto di approdo. Nondimeno, dovranno assumerla a riferimento le altre forze politiche, specie quelle di sinistra, se vogliono aprirsi a nuove alleanze e a nuovi programmi d'azione. Il Pds in buona sostanza, ha compiuto la scelta del ritorno nell'area del socialismo riformista; l'ha compiuta, però, per negazione del suo passato e non per precisa messa a punto del suo futuro. In ciò sta l'insufficienza più che l'ambiguità del congresso di Rimini. D'altro canto, è indubbio il fallimento dell'ipotesi che forse velleitariamente Achille Occhetto aveva coltivato di far coincidere la rifondazione del Pci con la rifondazione della sinistra e nientemeno della politica italiana. Dire che ciò è accaduto come conseguenza dell'effetto catalizzatore della guerra del Golfo sembra semplicistico e giustificativo. Nella realtà, sembra più verosimile che il gruppo dirigente che ha guidato la svolta non abbia avuto il coraggio di lanciarsi nella navigazione in mare aperto e, preoccupato di non perdere i : - - 3 contatti con i riferimenti costieri, abbia optato più o meno consapevolmente di non allontanarsene troppo. Con ciò la svolta rimane con i suoi eventi emblematici (la scissione di Cossutta, la costituzione dalle correnti, l'incidente della elezione travagliata del segretario, etc.) e con le sue ombre (la più spessa di tutte quella della mancata definizione del rapporto con il Psi). Al punto in cui sono giunte le cose, se è importante seguire e capire le mosse del gruppo dirigente dei "democratici della sinistra", non è meno rilevante seguire e capire le mosse delle altre formazioni progressiste nazionali. Non servono più gli esami al Pds; quel che serve è che, partendo da dove esso ha fallito, vale a dire dal proposito di rifondazione della sinistra per giustificare il fallimento di una parte della sua storia, si attivi uno sforzo corale che coinvolge l'insieme delle forze progressiste per individuare il che e il come della sinistra alle soglie del terzo millennio. I valori, i metodi del "socialismo liberale" sono il riferimento obbligato per il suggello vincente che hanno avuto dalla storia. Di ciò gli ex comunisti debbono prendere coscienza se non vogliono correre il rischio di avventurarsi nella ricerca di improbabili terze vie. È doveroso contemporaneamente riconoscere che chi si è ispirato al patrimonio turatiano prima e rosselliano dopo non è certo riuscito a tradurlo fino in fondo in pratica politica. La sfida non è, quindi, quella di reinventare il "socialismo democratico e liberale", ma di tradurlo in azione politica, quale che sia la collocazione al governo e all'opposizione delle forze che vi si ispirano. Settanta anni di comunismo, con le chiusure ideologiche ad esso intrinseche, hanno per un verso congelato importanti energie politiche e per un altro indebolito l'impatto innovatore
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